martedì 20 agosto 2013

Rigore, quel grande sconosciuto. Arte letteratura teatro



Pablo Piccasso, genio rigoroso del disegno
                                       

Ripa autem ita recte definietur id, quod flumen continet naturalem rigorem cursus sui tenens …

Sponda si definirà giustamente ciò che racchiude un fiume che conserva la naturale impostazione del suo corso …

Traduco con impostazione (più che con l'errato linea retta, che mi è capitato sicuramente di vedere) il latino rigor, utilizzato in questo frammento del Digesto di Giustiniano per definire il concetto di sponda di un fiume. E' uno dei pochi luoghi che conosco in cui rigor - che significa per lo più rigidezza in senso tecnico gia a partire da Lucrezio (dell’oro, della pietra, del ferro) ma anche inflessibilità sul piano morale (Tacito) - è inteso in un senso più vicino all’italiano rigore quando si intende l’esecuzione di un’opera, di un lavoro, la preparazione di una performance.
Voglio dire quella certa capacità di controllare e tutelare i limiti entro i quali far scorrere il proprio inimitabile operare nel mondo del fare, fatto quasi inesistente in epoca post post post in cui predomina una logorroica e per niente virile (nel senso di priva di vigore) estetica spontaneista.

E sembra quasi di vederlo invece questo fiume di cui si parla nel Digesto e che conserva con naturalezza e sicurezza la sua impostazione di fondo (naturale o dovuta all’intervento umano). Ed è questa una caratteristica di tutto ciò che anche dell’ingegno è sempre stato, almeno in passato, riconosciuto come bello, durevole, classico: che si tratti di un mobile, di una poesia, di un gioiello, di un romanzo, di un film, di una interpretazione teatrale e, in alcuni rarissimi casi, di opere filologiche (che perfino il mondo accademico umanistico oggi manchi di autorevolezza, di un operativo rigore, lo si può cogliere in un tic tipicissimo di tutta la produzione cosiddetta "scientifica", i cui articoli e saggi risultano letteralmente inceppati a causa di termini e espressioni ipotizzanti il nulla, produzione motivata dal solo desiderio di dire comunque qualcosa. Sono articoli pieni di forse, può darsi, non è escluso: “la battuta sembra presupporre”, “si apriva con due, forse tre inni agli dei”, “pure nell’impossibilità dunque …” “dove è stata rinvenuta una testa di Apollo da riportare forse al tipo di Anzio …”  - ma sulla base di cosa affermi, tu esperto, che forse è da riportare al "tipo di Anzio"? quali sono gli elementi che te lo fanno credere e sulla base dei quali avanzi questa tua ipotesi divertendoti semplicemente a scimmiottare i fisici? anche perché questi elementi o ce li hai o non ce li hai - tanto che tutto il settore umanistico odierno, che prospera in seno alle università di tutto il globo, comprese quelle telematiche, andrà prima o poi ribattezzato come “il mondo del puo’ essere ogni cosa”).


Piero della Francesca, Città ideale

 Gli studi umanistici odierni non sono d'altra parte in cattiva compagnia e condividono con la ugualmente infinita attuale produzione artistica questa narcisica e infantile pochezza di rigore (e di controllo) nell'esecuzione del piano, se pure ne esiste uno, e si voglia tacere la intrinseca incapacità del pensiero contemporaneo di suscitare veramente nuove questioni: un modo di rielaborare il pensabile che non sia un trasandato riadattamento di quanto è già stato magistralmente formulato in un passato più concreto. E quando invece si assiste miracolosamente al fenomeno opposto, si tratta di un rigore che al massimo può accordarsi col poco realistico e poco documentato rigor mortis delle autopsie delle fiction, a cui è esposta tanta audience televisiva. A queste improbabili autopsie, proposte in tutte le salse, e che generano e rimpolpano una estetica morbosa e un poco solare gusto dell'obitorio e per i cadaveri nelle sale settorie, si potrebbe in fin dei conti concedere anche un minimo di credito, trattandosi di nient'altro che di banali finzioni, le quali per non annoiare richiedono appunto una fuga dal dettaglio, omissioni su omissioni, compreso l'atto stesso con cui inizia ogni vera operazione post mortem, lo scuoiamento del cuoio capelluto.

Ma si riveda invece, a proposito di rigore nel mondo dell'arte, La mariée mise a nu par ses célibaitaires, meme, di Duchamp e si confronti quest'opera con quella di tanti piccoli imitatatori delle più grandi gallerie, in primo luogo il ricchissimo Damien Hirst dei mozziconi di sigarette raccolti con commovente ossessività classificatoria; o con il suo patetico armadietto delle medicine, o coi suoi vanagloriosi teschi, nonostante poi, per tante altre opere, lo si voglia ricollegare pomposamente all’action painting o alla pop art o all’informale, come se la pop art venisse chissà da dove se non da Marcel Ducamp – ma già un paio d'anni fa le opere di Hirst esposte in una famosa retrospettiva alla Tate restarono completamente ignorate e non incassarono una singola sterlina in confronto ai milioni e milioni che in passato, grazie a Saatchi e ai suoi buoni e simpatetici uffici, Hirst riusciva a fatturare per ogni singola opera; oppure, per cambiare settore, si guardi un video di una entrata in scena in un teatro del West End di Maggie Smith e si faccia un confronto coi tanti innominabili suoi compatrioti di oggi, e visto che ci siamo anche con l’inesistente teatro contemporaneo italiano, con le sue brave cuffie e microfonini che fanno molto “dinamico” e permettono alla voce dell’attore di giungere fino al pubblico, dare l'impressione che sia sempre naturalmente impostata. E mi raccontava un amico attore della sua insegnante di recitazione dei tempi che furono, una famosa attrice moscovita – me la imitava, una sera che facevamo una passeggiata nel centro di Milano, con l'immancabile accento russo e la mano tesa verso un pubblico ipotetico: “la voce non porti fino alla lunghezza del braccio ma tocchi il fondo esatto del teatro”. E questo era ineludibile anche quando si era raffreddati. 

                                          Miss Jean Brodie, ruolo che valse l'Oscar a Maggie Smith

Si legge sempre nel luogo citato del Digesto ( in questo punto trattava del diritto delle acque e dipende da Ulpiano): “se al detto fiume capiti di accrescersi momentaneamente a causa di piogge o del mare o di una qualsiasi altra ragione, le sponde restano le stesse. In effetti nessuno direbbe mai che le sponde del Nilo, che con l’innalzarsi delle acque copre l’Egitto, per questa stessa ragione si amplino o mutino, ma non appena il fiume torna alla sua capacità originaria si tratta solo di rafforzarle. Se invece il fiume si accresce naturalmente tanto che si possa parlare di un incremento perpetuo delle sue acque – o perché vi si mischi un altro fiume o per qualsiasi altra ragione, non c’è dubbio che si debba dire che le sue sponde siano mutate, così come lo sarebbero se il fiume prendesse a correre secondo un altro percorso nel caso in cui venga deviato il letto".

Il problema è che non si sa nemmeno se questo letto sul quale saltano gli attori della stragrande maggioranza degli allestimenti odierni di tutto l’Occidente, che sia mutato o meno, abbia comunque la spalliera, cioè le spalle, le quali dovrebbero contenere quantomeno i polmoni, per iniziare.

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