venerdì 16 settembre 2016

Il ritardo di Dio

La questione dello stupore di fronte alla evidente non punizione del peccatore è in realtà da sempre la questione del ritardato intervento divino: un Dio in qualche modo umanizzato, capace anche di pentimento:

Et Samuhel lugebat Saulem, quia paenituerat Dominum quod unxisset eum regem super Israhel (Hier., Ep., 147, 1 - ad Sabinianum).

Il ritardo dell'intervento divino sul peccatore può essere però anche visto nell'ottica di un "progresso" ideologico dell'umanità: rendere possibile l'apparizione di quei pochi grandi intellettuali in grado di farci cambiare definitivamente il punto di vista, il modo di vedere le cose. Che non è altro che una delle interpretazioni che di questo ritardo offre Girolamo nell'epistola citata sopra:

Alioquin si protinus scelerum ultor exiteret, et multos alios et certe Paulum apostolum ecclesiae non haberent (147,3).

Invecchiare contro natura

Il san Girolamo degli ultimi anni è un notevole esempio di invecchiamento contro natura, se si deve prendere per buona la sarcastica interpretazione che della vecchiaia dà Erasmo nell'Elogio della follia. Invecchia, nonostante quanto dice di sé, nel pieno possesso delle sue facoltà e senza riacquistare niente (grazie a un salutare rim-bambimento) dell'allegra follia del ragazzino. Sempre che nel caso di san Girolamo non si debba ammettere un disguido di natura, che sia nato già vecchio e bilioso. E quella stessa bile la si trova all'inizio come alla fine della sua carriera. Le sue ultime epistole rigurgitano del fiele dell'odio ideologico - ma è sempre la stessa pappa nei Padri: un linguaggio militante mutuato dalla Sacre Scritture. Appare intrappolato a cementizzare (peraltro senza mostrare eccessiva fiducia) il traballante edificio della Chiesa in epoca di devastazioni eretiche, con qualche sospiro di sollievo nel caso in cui una contestata elezione al soglio vada a buon fine, cioè secondo i suoi piani, quando riesce a portare a casa l'elezione di un vecchio amico (Bonifacio). Ma è negli attacchi alle varie sette (ofiti, pelagiani ecc.) che offre il meglio ("hereticorum pectora non posse purgari ego testis sum", "vere dicam quod sentio: in his hereticis illud exercendum est Daviticum: in matutinis interficiebam omnes peccatores terrae", "delendi sunt, spiritualiter occidendi", non possunt per emplastra et blandas curationes recipere sanitatem", "nec eorum scriptis, quae ignoro, moveor, cum sciam voluntatem quidem blasphemiae pessimam", "tamen si scripserint et in meas aliqui pervenerit manus, ut non superbe loquar sed sim par insaniae eorum").

Insomma, se c'è follia non è giocosa, non è di tipo infantile, e soprattutto è follia consapevole (ut ...sim par insaniae eorum), ciò che ne sminuisce l'attrattiva, mostra l'uomo frustrato, il quale sente che dopotutto potrebbe aver fallito. Non sa mettere da parte il miles Christi, nemmeno quando dovrebbe congratularsi (essere felice) per il buon esito dell'ordinazione dell'amico al soglio, non riesce a non aggiungere alla fine un postscriptum in forma di spada: "sentiant heretici inimicum te esse etc".

Ilio felice

la condizione infantile è forse l'unica capace di deviare gli attacchi del linguaggio, e quindi di qualsiasi ideologia. A un in-fante, a un senza-parola, il mondo appare necessariamente irrisolto: a ogni nuovo evento si potrebbe dire per lui: inventa est res quam nulla eloquentia explicare queat. Il vero eroe allora sarebbe colui capace di non apprendere mai nessuna lingua. Sarebbe un lunghissimo assedio, nessun esercito acheo potrebbe mai espugnare Troia: Agamennone, Menelao, Aiace, Ulisse, Achille, Licomede, Medonte, Patroclo, Palamede ecc.: nessun piccolo eroe acheo riuscirebbe a portare a termine il suo compito, e morirebbe di vecchiaia sul campo. La maggior parte delle opere che li vede protagonisti sarebbe inesistente, non ci sarebbe Odissea. Ma per chi è dentro le mura sarebbe non Babele felice ma Ilio felice.

giovedì 15 settembre 2016

Leggi "simpatiche"

La legge di Osthoff è una di quelle leggi "simpatiche", poco complicate, lo studente di greco avrebbe buon gioco. Peccato che come tutte le leggi e i tentativi di normalizzare i fatti di lingua, contiene eccezioni, e basta un'eccezione per invalidare una legge (l'omerico νῆυσι resta per esempio felicemente fuori, e il tentativo di spiegarlo da un originario *néh2u-, rimane una congettura.

Lo stesso può dirsi della legge di Wheeler, ugualmente "simpatica", amichevole, una vera chicca fonologica dal soprannome sfizioso: la legge del dattilo finale. Ha quantomeno il merito di "illuminare" la questione dell'accento nel participio perfetto medio-passivo (perché diavolo a differenza degli altri participi che gli somigliano avrebbe quello strano accento sulla penultima). Ma anche qui le eccezioni non mancano: μυελός, ὀμφαλός,ὀρφανός, e restano fuori ( a differenza del latino e dell'italiano) gli aggettivi del tipo -ικος (μαθηματικός, ἀστικός ecc.) - aggettivi però di "classe", colti, intelellettualizzanti (Aristofane li mette in bocca ai "bei parlatori"),  e si prestano a essere accentuati in un certo modo, un segno di distinzione, così come in italiano si tende a accentuare in modo errato, ritraendo l'accento sulla terzultima, alcuni nomi poco nell'uso e creduti colti (pùdico, tàfano), e in effetti anche nel latino e poi nelle lingue europee questo suffisso finisce per denotare l'appartenenza a un gruppo, ha una funzione classificatoria, categorizzante (vedi su questo l'insuperato e insuperabile studio di Chantraine). In questo senso, e solo in questo senso, farebbe pensare al -ka dell'indoeuropeo, che è la marca del genitivo dei pronomi personali, una marca di appartenenza.

L'intellettuale e il paradosso del mentitore

Gli intellettuali (le "scienze" umane) hanno tuttosommato poco a che fare col progresso umano, se si escludono quei grandi nomi (compreso Sofocle, che intuiva la questione) a giusto titolo entrati a far parte del novero dei classici - totalmente assenti oggi non perché non sia passato un numero sufficiente di anni per poterli considerare tali (Ars poetica) ma perché per i nomi di oggi, a quello che almeno si vede, non ci sarà nessuna speranza di memoria, se non per qualche futuro database. E si leggono, i classici, non per quello che dicono (si possono contare, anche qui, sulla punta delle dita coloro che hanno detto qualcosa che ha determinato un cambiamento nei modi di vedere di un'epoca) ma per come lo dicono. Inoltre gli intellettuali oggi rientrano quasi tutti nella schiera dei professori universitari. E le idee dei professori universitari non sono mai state di nessuna utilità, come lo è invece il lavoro di un muratore o di un operaio dentro una fabbrica. Non sono utili nemmeno ai loro studenti, che potrebbero trovare meno compromettente tentare di afffinare da subito il senso critico e fare una cernita degli errori contenuti nei libri da portare agli esami. Non è molto interessante sentire un intellettuale in televisione, o leggerne un libro, e non solo perché lo scopo è quello di copiarsi e scopiazzarsi a vicenda senza neanche accorgersi degli errori di coloro che citano. L'importante è che il discorso abbia una coerenza, in nome di quale logica è tuttavia da vedere, dal momento che per esempio una logica fuzzy, una logica polivalente, di origine booleana, sfuggirebbe completamente a questa posizione arcaica (tuttora della televisione, del web) del professore che parla di un certo argomento con cognizione di causa. Il paradosso del mentitore non potrebbero spiegarlo, resta per loro un paradosso, non avrebbe semplicemente, come in una logica fuzzy, un valore medio tra 0 e 1.