Visualizzazione post con etichetta Derrida. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Derrida. Mostra tutti i post

sabato 10 gennaio 2015

il plurale del plurale. gli arabi e la matematica



La ragione per cui (e lo spiego a me stesso, trattandosi dopotutto sempre un diario personale che rendo pubblico, e dove mi può capitare di inserire di tanto in tanto qualche cosetta di carattere più filogico) la ragione per cui ho abbordato nella mia vita così tante lingue - credo di averle passate al setaccio quasi tutte (da un capo all'altro del globo e da un punto all'altro della storia), alcune più studiate e approfondite di altre (ebraico, arabo, sanscrito - le lingue sacre) altre studiate fino a un certo punto (russo, danese, polacco, svedese, olandese, giapponese, ungherese, finlandese, cinese, tibetano eccetera) altre ancora comunemente usate quando leggo o chiacchiero con qualcuno (francese, tedesco, spagnolo, greco moderno), altre studiate per interessi di linguistica (accadico assiro eccetera, le lingue irochesi del Nord America, parlate un tempo dal Popolo della Grande Palude, i Guyohkohnyo, e dal Popolo delle Colline, gli Onondagega, e dagli Oneida eccetera), la ragione principale credo fosse il bisogno,  la necessità (o desiderio) di uscire dal lager della mia lingua madre, e quindi il desiderio di mettermi direttamente, senza nessuna mediazione, in contatto con altri modi di osservare le cose, mettermi

martedì 23 dicembre 2014

Frank Gehry, il decostruttivismo e il burka terapeutico

File:La Casa Danzante de Praga 1.JPG
Frank Gehry - Praga: Tančící dům (La casa danzante) - foto Kosovi, Wikipedia
 

Il decostruttivismo - cioè la teorizzazione di questo particolare agire in archiettura - è pura menzogna: è l'equivalente - se terorizzato - di qualsiasi forma di bassa retorica. Infatti non si capisce come si possa decostruire e costruire nello stesso tempo. O forse lo sanno gli epigoni di Derrida. E come poi faccia, teoricamente, un edificio decostruito a reggersi, è ancora, sempre nell'ottica della teorizzazione, un altro mistero.

Detto questo, gli edifici di alcuni di questi architetti sono veramente splendidi: fanno sognare, ti viene voglia di viverci dentro o di passare il resto della tua vita nelle loro vicinanze - ma devo dire mi attraggono in particolare molte delle cose che fa Frank Gehry. Alla maggior parte degli altri decostruttivisti in realtà non ho mai dato un soldo di cacio, compresa Zaha Hadid. E questo e tutto quello che saprei dire di certa architettura : mi piace, come sempre quando una cosa mi piace.

(Riguardo alla foto che ritrae Frank Gehry mentre alza il dito medio a un giornalista "stupido" c'è poco da dire. Nonostante la sua intelligenza visionaria, Frank Gehry, che ha ovviamente un culto sprezzante dell'intelligenza - anzi un culto al quadrato visto che è di origina polacca e i polacchi si sono sempre sentiti un po' più intelligenti degli altri, e visto che è di origine ebrea, e gli ebrei, soprattutto quelli che hanno sfondato il muro dell'anonimato, si portano dietro il mito della non assoluta criticabilità di ciò che fanno - conosce di se stesso molto poco se ancora non ha previsto che presto sarà terra difficilmente fertile per i ceci; anche se poi, aspettarsi un minimo di modestia pubblica da un qualsiasi artista non sarebbe certezza di niente, non renderebbe i suoi lavori più splendidi o meno splendidi. Il dito medio che a 85 anni suonati Frank Gehry alza contro un giornalista che gli chiede se la sua architettura non sia puro spettacolo è l'equivalente della passione che da sempre mostrano alcuni individui quando appassiscono: quella di farsi vedere in compagnia dei giovani - ma può darsi abbia seguito qui il suggerimento di Le Corbusier: l'importante non è rimanere giovani ma diventarlo. D'altra parte che ci vai a fare a queste conferenze piene di mestieranti della carta stampata se vuoi sentirti dire soltanto quello che vuoi sentirti dire? Per te, per curare il tuo inguaribile amor proprio, dovrebbe servire quello che proponeva una mia amica: il burka terapeutico per sei mesi e per tutti, uomini e donne - azni per immodesti non giustificati (vista l'età è un caso senza speranza) per il tenpo che resta. Non sarebbe forse bello presentarsi a una conferenza stampa in burka, preferibilmente bianco? il giornalista potrà chiedere quello che vuole: chi garantisce che effettivamente sotto il burka ci sei tu e non un inviato del Signore? occhio non vede cuore non duole. L'occhio del giornalista e il cuore dell'interpellato.

mercoledì 24 settembre 2014

Derrida e lo sguardo della storia

Ci sono persone che semplicemente per aver letto un po’ di Derrida (in genere per uno di questi inutili corsi universitari di cui pullulano le università britanniche, gender studies o psicanalisi lacaniana o roba simile) criticano gli interlocutori anche quando fanno osservazioni sensate. Così mi è successo recentemente di sentire in pullman dietro di me una di queste saputelle (smart arse) accusare il suo compagno di viaggio di essere fermo alle posizioni degli anni Ottanta del secolo scorso, e solo perché s’era permesso di dire che il femminismo aveva fallito a tutto campo – unica cosa a dire il vero che condividevo di quella noiosa conversazione a pochi centimetri dalle mie orecchie. Il tipo aveva una trentina d’anni, lei molto più grande e pronunciava Derrida all’inglese (Derrìda), segno che non aveva nemmeno fatto lo sforzo di studiarsi un po’ di francese visto che da quello che riuscivo a capire Derrida era stato l'argomento della sua tesi di laurea.

E in fondo c’è poco da stupirsi o meravigliarsi: un’università che è soltanto luogo di produzione scientifica o meglio, pseudoscientifica, non può che guardare sempre e soltanto alle ultime pubblicazioni, o ai commenti più recenti dell'opera di un certo autore: che poi si legga o meno questo autore non ha nessuna importanza. Quello che conta è il "commento" di uno dei tanti emeriti nulla. Pensare con la propria testa zero: l’importante è che si citino articoli e libri scritti recentissimamente da chi non sa nemmeno aprire bocca. Cosa di cui ho già detto e ridetto in tanti precedenti post.

Come fatto personale ricordo che avevo ventidue ventitre anni e a Londra ero stato trascinato da una mia compagna di università a sentire una conferenza di Derrida al RIBA, il Royal Institute of British Architects, in Portalnd Place, e arrivai in ritardo, quando la conferenza era già finita e il pubblico stava ormai uscendo. Rimasi un po’ lì fuori per cercare di vedere almeno Derrida dal vero. E in effetti lo vidi apparire dopo un po' con una pipa in bocca, e per un attimo ci guardammo: era un uomo non alto, coi capelli bianchi e folti, il viso squadrato, gli occhi sensibili e di rarissima intelligenza.

Tutto ovviamente molto interessante per un ragazzo o uno studente ma in fondo di Derrida non me ne importava e non me ne importa un fico secco, a differenza di Sciascia, del suo sguardo, che come ho detto altrove mi fece l'onore di posarsi per qualche istante su di me quando ero piccolo, incuriosito chissà da cosa.