While skimming one of Gombrowicz's books I stumbled over this
sentence by Zeromski : 'It is impossible to fight with what the soul has chosen.' Like a vast amount of so-called aphorisms this Zeromski thing is total shit, unless one means by it that the necessary existence of the soul, with all
its hypothetical qualities, has been proven, which is not the case. The Internet bazaar (Twitter nd Facebook) is crowded with such nonsensical items. One fashions an idea to produce logical monsters, there is nothing wrong with it, of course, such intellectual dishonesty is not intended to harm or get unfair advantage. Still the result is a practiced deceit. Sentences can be
nonsensical yet they allow a certain understanding of ourselves (see on this, Wittgenstein, Tractatus).
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domenica 5 aprile 2015
domenica 29 giugno 2014
Lo spettacolo della scempiaggine e gli assegni profumati della stampa
Due idiozie una più grossa dell’altra ancora in un titolo del
giornale citato nel post precedente:
“NASTRI D’ARGENTO, TRIONFA PAOLO VIRZI’, MA TANTO SPAZIO AI
GIOVANI TALENTI”.
Lasciando da parte chi sia questo Paolo Virzì, e se non lo
so io vuol dire che conta come l’asso di picche, la prima idiozia consiste
in questo, che si parla di talenti
quando invece non se ne vede neppure mezzo all'orizzonte; la seconda, che si dia un’età
al talento, seguendo in questo la
moda adottata ormai da tutti i parolai di questo paese e non solo. Se così fosse, bisognerebbe chiamare Leonardo, al termine della sua vita, un vecchio
talento. Con il che, con questo giornale della pseudo sinistra ho finito. D’altra
parte, un giornale il cui livello culturale è talmente alto che chiama ironia
delle freddurine, anzi delle fritturine per immagini (uno
spirito di patata che me li fa scendere fino ai ginocchi), in uno spazio del
sito nel quale mostra le foto del cannibale
dei mondiali in veste di Dracula e titola appunto L’ironia di Twitter, vuol dire che ha il pubblico che va a cercarsi. Dominus vobiscum! et cum spiritu tuo! Amen.
sabato 22 febbraio 2014
lettere degli umani e twitter per i robot
![]() |
frammento dal secondo libro degli Elementi di Euclide (II-III s. d.C) |
al mio amico B.
A rovistare nei cassetti di casa si trovano vecchie lettere dei nostri nonni, lettere dai familiari (che in latino però significava amici). Oggi non so quanti scrivono ancora lettere. Forse alcune email non sono semplici messaggi, sono qualcosa di più. Ma il fatto è che un tempo si aspettava (si desiderava): si attendeva a lungo una
mercoledì 28 agosto 2013
Disumano troppo umano. La luna di Goethe e le beffe di Carlyle
Selig wer sich
vor der Welt
Ohne Haß verschließt,
Einen Freund am Busen hält
Und mit dem genießt,
Ohne Haß verschließt,
Einen Freund am Busen hält
Und mit dem genießt,
Was
von Menschen nicht gewußt
Oder nicht bedacht.
Durch das Labyrinth der Brust
Wandelt in der Nacht.
Oder nicht bedacht.
Durch das Labyrinth der Brust
Wandelt in der Nacht.
Felice chi senza odio
si separa dal mondo,
e tiene stretto un amico al cuore
e con lui gode
ciò che dagli uomini non è conosciuto
o è trascurato.
Nel labirinto del cuore
costui vaga nella notte.
Traduco qui i versi
di chiusura di un ode di Goethe alla luna. Li ho ritrovati in una cartolina infilata in un libro dell'australiana Germaine Greer, la più famosa femminista del mondo. Non so nemmeno quanto li gradirebbe o apprezzerebbe oggi nonostante la luna sia da sempre un po' un simbolo femminile, materno, forse anche simbolo della compassione - e in passato Germaine Greer fu in effetti vittima di un suo gesto diciamo un po' troppo caritatevole: venne legata e selvaggiamente picchiata da una barbona che s'era portata a casa e a cui aveva dato coscienziosamente asilo. Donna contro donna: una poveraccia che voleva forse anche lei semplicemente mostrarsi condiscendente, compassionevole: comprendere il dramma interiore di una nota intellettuale, e può darsi che non sapesse o potesse farlo diversamente.
Questi versi di Goethe me li scriveva invece in quella cartolina anni fa - riproduceva un dipinto di Raffaello - un amico tedesco, col quale parlavamo e parliamo tuttora a volte in italiano a volte nella sua lingua a volte in inglese. Ha ereditato, questo mio sensibile amico, da suo padre un'immensa passione per la storia dell’arte e mi scriveva nella cartolina, per Natale, sotto quei versi, nel suo italiano appena tedeschizzato:
Questi versi di Goethe me li scriveva invece in quella cartolina anni fa - riproduceva un dipinto di Raffaello - un amico tedesco, col quale parlavamo e parliamo tuttora a volte in italiano a volte nella sua lingua a volte in inglese. Ha ereditato, questo mio sensibile amico, da suo padre un'immensa passione per la storia dell’arte e mi scriveva nella cartolina, per Natale, sotto quei versi, nel suo italiano appena tedeschizzato:
“Raffaelo quasi mai
mi piace, Goethe anche – questi versi sono un grande eccezione”.
Quando iniziammo a vederci - ci conoscemmo poco più che ventenni in un bar di Schwabing - mi portò dopo un po' nella villa
dei sui genitori subito fuori Monaco, una casa piena di scaffali, un riflesso dell’attività
di famiglia, una grande casa editrice di libri d’arte. Mi disse allora, mentre ci bevevamo una coca cola in giardino e sentivamo in lontananza il rumore delle macchine
agricole: "questi sono i veri rumori poetici ormai da cento anni, in campagna".
Da ragazzo mi sembravano poetici anche i piloni dell'alta tensione così solitari nei campi di fieno a maggio nella campagna italiana o quelli - visto che mi torna pure questa lontana immagine - di San Pedro in Calfornia, con sullo sfondo il porto industriale che allora mi pareva immenso. Come in fondo non potrebbero mancare di poesia oggi in città, per chi almeno ce lo vuol torvare, le continue sirene della
polizia e delle ambulanze e gli ossessivi intermittenti blip blip e suonerie dei cellulari del proprio vicino in autobus o in treno, e gli schermi e gli altoparlanti a tutto volume che mitragliano notizie una dietro l’altra lungo
le banchine nelle stazioni della metro e di cui non si fa in tempo a capire che relazione abbiano con la tua esistenza di ascoltatore forzato se non ti cali nell'elementare monotono meccanismo di imitazione rap.
Gli stessi suoni perciò a cui è abituato - e le stesse sirene che deve aver sentito - chi ha potuto vedere il corpo senza vita di
quel ragazzo bianco (un australiano) ucciso in America da tre teenager (due
neri e uno di sangue misto, che per l’America significa comunque nero). Un delitto sicuramente di stampo ideologico, prodotto di un miscuglio di vigliaccheria e odio razziale più che della noia, come
faceva osservare giustamente un lettore che commentava questa notizia sul sito di un giornale: “Questo crimine commesso da tre amici", diceva questo lettore, "è una conseguenza diretta e necessaria del
sistema capitalistico che mira unicamente a fare numero dividendo” E bisognerebbe aggiungere che mira a dividere in numeri pari e dispari. Era l’unico commento
interessante, gli altri pregustavano un più o meno feroce rassicurante compiacimento al pensiero che questi
ragazzi (o mostri) verranno con molta probabilità condannati a morte. Il più grande,
diciassette anni, nelle foto segnaletiche appare alto non più di un metro e
sessantatre.
![]() |
Tiepolo, i cavalli del carro del sole |
E si riesce tranquillamente a immaginarlo l’ambiente in cui sono vissuti questi teenager americani: non certo l’ambiente familiare, l’ambiente familiare non c’entra più niente. Si riesce a immaginare l’ambiente in cui sono cresciuti perché è lo stesso in cui sono immersi oggi, nel 2013, dalla testa ai piedi, i teenager di tutto il mondo, dalla Patagonia alla Colombia al Canada, dal Sudafrica al Marocco, dall'India alla Nuova Zelanda all'Islanda e pure nel tecnologizzatissimo Giappone (dove a primavera volano dai ciliegi in fiore leggerissimi, delicati petali rosa all'interno di parchi che sono per contrasto un incanto di templi silenziosissimi), e pure nella tecnologizzatissima Europa, dove i teenager hanno però ancora qualche difficoltà a mettere mano su pistole e fucili o a guidare una macchina a soli sedici anni. E quale sarebbe questo umanissimo ambiente nel quale crescono i teenager di tutto il mondo? Televisione coatta, internet coatto, film nei quali l'unica forma di apologia concessa è quella di una spettacolare ostentazione della forza fisica e della violenza; e ancora autopsie offerte con contorni di pietose sceneggiature a colazione pranzo e cena, inseguimenti a duecento all'ora apprezzati con lo stesso sorriso con cui si segue la Formula Uno, trasmissioni morbosamente e accuratamente costruite su immagini di infinite telecamere di sorveglianza abilmente posizionate e quindi uccisioni e aggressioni sempre più in tempo reale. E in lontananza (o in vicinanza) i pacifici, sereni social network: FB, Twitter e YouTube, e le loro bachechine giornaliere, dentro le quali e grazie alle quali essere sempre indistintamente in primissimo piano, con l'illusione di arrivare a toccare quella stessa notorietà di cui godono i vip del calcio del cinema e della televisione (sicuramente perché sprovviste, queste very important persons, non meno dei loro imitatori da casa, di una qualsivoglia briciola di talento, con una notorietà costruita a tavolino o, nel caso dei loro imitatori, a forza di tags con cui posizionarsi bene nei motori di ricerca). E si può quindi immaginare che razza di risultato restituisca l’imitazione di un prodotto già scadente in partenza e in cui l'uomo reale va a farsi allegramente friggere in una padella senza manici. Che manchi effettiva concretezza e rigore - o che manchi il minimo accenno di compassione - a questo modo di guardare al dolore altrui è irrilevante: l'importante è mostrare un eccesso che comporti un ritorno, che l'immagine eccessiva, lo choc (e sarebbe meglio ormai scrivere shock), collezioni migliaia di mi piace: perché ciò che effettivamente conta non è il sacro silenzio col quale si entra nella casa dove c'è un morto, quello che conta è ottenere col video di una tragedia la stessa visibilità, in numero di click, che otterrebbe un vip twittando in 114 caratteri l'ultima idiozia che gli viene in mente dopo essersi grattato il sedere appena aperti gli occhi. Tanto che non si direbbe niente di campato in aria se si affermasse che l’unica patente e potente ideologia alla base di questo dissociante e narcisico uso dei social network è nutrire il già poco socievole amor proprio di ogni uomo e di ogni donna, di Adamo e Eva, che quando non possono postare immagini raccapriccianti di un treno che deraglia a tutta velocità contro un muro di cemento si conosolano comunicando al mondo che hanno appena mangiato un tramezzino coi carciofini o che la gattina ha fatto i figli ciechi.
Diceva l’ideatore di FB che in origine ci fu una semplice intuizione: la necessità che tutti noi avremmo di tenerci continuamente aggiornati su ciò
che fanno i nostri amici. Così Socrate, che diceva che se anche la sua casa era piccola sperava comunque di riempirla di persone care, finirebbe per fare il classico baffo a un utente di un social network che oggi a quindici sedici anni può già contare su duemila amici in tutto il mondo (un imbattibile Nembo Kid, un vero ragazzo delle nuvole - così come Socrate fu rappresentato da Aristofane nelle Nuvole sospeso in alto nel suo canestrello che scrutava i poveri mortali). E mi sembrava quasi di vedere, guardando questa intervista a Zucker,
la bava dell’amor proprio colare a rivoli, anzi a fiumi di preziosa porpora (e la bava - a meno che non sia quella di un setter dal pedigree purissimo - non
arriva mai se non come sintomo di una qualche conosciuta patologia o di una visione priapica dell'esistenza). E
il fatto che nell’intervista questo personaggio, questo nerd o ex nerd, non faccia che snocciolare numeri su numeri mentre celebra il suo amore per l'umanità non è altro che la riprova che sta illustrando un'operazione di puro marketing mascherata da istrionico filantropismo: l'individuo cioè ridotto a quel numero che è sempre stato agli occhi di ogni regime o potere che si rispetti; o nelle mani di ogni business concreto o virtuale che voglia farne un consenziente zimbello e la cui unica legge è di riprodursi e moltiplicarsi miracolosamente secondo i canoni della favoletta dei pani e dei pesci. E sempre per restare in tema faunistico, lo zimbello non sarebbe poi altro che quell'uccello legato a un'asticella e usato dagli uccellatori per adescare altri uccelli.
Mi viene in mente un’immagine di Thomas Carlyle da vecchio,
il grande storico scozzese autore di Sartor
Resartus e della French Revolution,
che verso la fine dell’Ottocento ogni tanto saliva sull’Imperiale e andava a
farsi una passeggiata all’aria aperta. Arrivava nei sobborghi di Londra,
scendeva, si avvicinava alla dimora di questo o di quest’altro
insaziabile magnate, si aggrappava alle sbarre del cancello e cominciava a saltare come una scimmia
mostrando i denti feroci e famelici ai ricchissimi proprietari chiusi all’interno. Si faceva specchio
delle loro brame. E forse in qualche modo si rifletteva anche lui nelle sembianze di quei carcerieri carcerati dentro le loro splendide dimore. Non è infatti improbabile - faceva bene Ford Madox Ford a ipotizzarlo - che anche Carlyle, e insieme a lui Ruskin, Wilberforce e gli Holman Hunt (i Preraffaeliti), e tutti quei vittoriani non ricchissimi ma ugualmente ossessionati da una certa idea di agio e di benesssere materiale, non è improbabile che avrebbero anche loro fatto di tutto per schiacciare il nemico, avrebbero perfino fatto ricorso al gas nervino, dice Ford Madox Ford, se solo avessero potuto inventarlo, contro i loro amici diventati rivali.
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martedì 9 luglio 2013
Gli uccelli di Aristofane e i giornali italiani
![]() |
Non ho molta
dimestichezza con la politica italiana e non conosco i nomi dei politici
italiani, salvo quelli di due o tre più famosi leader di partito e soltanto
perché se ne parla sui vari giornali on line, dove si strombazza il tutto e il
più di tutto, cioè il niente. E così oggi sono entrato dopo tanto tempo in uno
di questi siti di giornali cosiddetti pappagallo: quei giornali che nascono
a imitazione di
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giovedì 9 maggio 2013
Retorica, oh cara bistrattata …
Magritte, La Grande Guerre
Retorica è un termine che al borsino della Storia è definitivamente crollato, quantomeno a "parole": perché se pure è diventato sinonimo di tutto
il peggio, di tutto ciò che è enfatico e vuoto, è difficile che prima o poi anche i suoi più ideologizzati nemici non ci sbattano anche loro il grugno. Una frase del tipo: curioso esercizio
retorico, il tuo, trabocca di quella stessa retorica che si vorrebbe condannare, non fosse altro che perché si fonda su un'accurata scelta e disposizione delle singole parole: l’aggettivo curioso, messo all'inizio in funzione non epatica ma enfatica, segnala una tua superiore "sospensione di giudizio"; l’uso di esercizio, a cui si dai un valore negativo, segnala una tua supposta modernità, al passo coi tempi, l'accettazione di un certo linguaggio "oggettivo", "scientifico" (anche se poi ci si dimentica che proprio questa parola, esercizio, viene da sempre corteggiata e apprezzata all'interno del mondo ascetico: cioè in quel mondo che ugualmente, al pari della scienza, disprezza tutto ciò che è superfluo); e infine quell’indice
puntato contro il colpevole: quel meraviglioso "tuo", posto ugualmente in posizione
enfatica alla fine (i riflettori in una frase illuminano sempre le due estremità).
La retorica è stata ed è tecnica della persuasione: non c'è aspetto della vita di oggi, così tanto ossessionata da questa curiosa idea dell'originalità, che ne sia immune: dalla pubblicità a Twitter a FaceBook (che viene detto anche FakeBook) ai messaggini, ai più specifici rapporti intersoggetivi, nei quali è quasi sempre questione di manipolazione dell’altro, anche quando si resta muti e impassibili e si lascia tutto allo sguardo - per non dire di quando ci si scopre strabici ... E se poi lo strabismo è di Venere, se è divergente, allora sono guai anche più seri.
Amor che al cor gentil ratto s’apprende
mi prese del costui piacer sì tanto
che come vedi ancor non m’abbandona.
E in effetti sono passati duemila e cinquecento anni dalle prime codificazioni della retorica, e retore in greco significa colui che parla, lo speaker, come anche si dice oggi quando si indicano i relatori di un convegno..
La retorica è stata ed è tecnica della persuasione: non c'è aspetto della vita di oggi, così tanto ossessionata da questa curiosa idea dell'originalità, che ne sia immune: dalla pubblicità a Twitter a FaceBook (che viene detto anche FakeBook) ai messaggini, ai più specifici rapporti intersoggetivi, nei quali è quasi sempre questione di manipolazione dell’altro, anche quando si resta muti e impassibili e si lascia tutto allo sguardo - per non dire di quando ci si scopre strabici ... E se poi lo strabismo è di Venere, se è divergente, allora sono guai anche più seri.
Amor che al cor gentil ratto s’apprende
mi prese del costui piacer sì tanto
che come vedi ancor non m’abbandona.
E in effetti sono passati duemila e cinquecento anni dalle prime codificazioni della retorica, e retore in greco significa colui che parla, lo speaker, come anche si dice oggi quando si indicano i relatori di un convegno..
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