sabato 22 febbraio 2014

lettere degli umani e twitter per i robot

                                                                   

frammento dal secondo libro degli Elementi di Euclide (II-III s. d.C)



                                                                               al mio amico B.

A rovistare nei cassetti di casa si trovano vecchie lettere dei nostri nonni, lettere dai familiari (che in latino però significava amici). Oggi non so quanti scrivono ancora lettere. Forse alcune email non sono semplici messaggi, sono qualcosa di più. Ma il fatto è che un tempo si aspettava (si desiderava): si attendeva a lungo una
lettera, a volte anche un mese se un emigrante era in Australia. Oggi più che mai il tempo è denaro. E vale appunto per tutti: il capitale (che in passato convinceva solo se stesso) ha finito per convincere tutti che il tempo è soltanto denaro: denaro soprattutto per chi zombifica il povero utente, gli fa credere quanto è bello essere veloci (e ia ia o!), e se poi l'utente è povero e manipolato dal capitale si vede che se l'è cercato e amen. Ma non credano i moderni di essere stati loro a inventare gli sms, così come non hanno inventato mai niente di niente. Si limitano a perfezionare tecnologie e a prosciugare modi che erano già lì in fieri. E anche nelle comunicazioni, erano noti i dispacci dei comandanti spartani, della Laconia, laconici appunto, poche righe. Da far tremare Twitter, il cinguettio barbarico di oggi, degli utenti sugli autobus e sui treni della metro con gli occhi fissi al cellulare.

Avevo trascritto anni fa, mentre facevo altri lavori e preparavo un corso all'università, l'inizio di una delle tante lettere in greco del secondo secolo dell'era cristiana - trascritta nel senso che ero andato a leggermi direttamente il frammento di papiro (gelosamente conservato nella biblioteca dell'Ashnolean Museum di Oxford) nonostante il buon lavoro di trascrizione fatto dagli editori della monumentale collezione degli Oxyrhyncus papyri. Non che mi servisse immediatamente, a parte il fatto che il greco non si finisce mai di impararlo veramente; mi aveva però attratto una parola: σομάτιον - corpicino - un termine usato in quel periodo nel senso di cadavere, o per indicare uno schiavo, ma che nel caso del frammento stava sicuramente per "il mio povero corpo" "i miei acciacchi". Era un certo Antonio che scriveva a un amico a Ossirinco, in Egitto, dopo essere arrivato in Italia via mare. Ci sono diverse lacune ma inizia più meno così:

Carissimo Dionisio,

appena sbarcato in Italia ho sentito la necessità di farti sapere che sia io che la mia famiglia stiamo bene. La traversata è stata lenta ma non faticosa e nonostante i miei acciacchi non ho sofferto molto; comunque non più di quanto ci si aspetti da un primo viaggio in mare ...

Poi il frammento (una scrittura già ingarbugliata e penosa a leggere) diventa del tutto illeggibile.

Corpicino già allora mi ricordava quell'altra parola: animula, resa famosa ai più dai versi di Adriano, riportati anche nel libro della Yourcenar:

 Animuccia vaga e leggedra
ospite e compagna del corpo
in quali luoghi te ne andrai ora
pallida, fredda e nuda
e non più diletterai
come eri solita ...

In fondo il periodo era quello. Il corpo non era più orgogliosamente corpo ma corpicino, e di conseguenza non poteva che contenere un'animula


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