martedì 25 febbraio 2014

Il guinzaglio


Dopo Il caffè avvelenato e Il giardino d'inverno posto ancora un miniracconto dalla mia raccolta Il Carnevale di una logoterapista, una quarantina di pezzi metropolitani scritti in inglese parecchi anni fa, la maggior parte ambientati a Londra, pochissimi a Roma. Alcuni pubblicati su riviste inglesi, uno, Wisteria, in una raccolta di racconti di vari autori. Li ho poi riscritti tutti in italiano.


San Carlo di Napoli


IL GUINZAGLIO


Un pomeriggio di luglio un senza casa sulla trentina era assopito sul bordo di una delle vasche circolari del Pincio, a Roma. Portava i capelli lunghi, la barba rossa e un paio di stivali modello Tolfa. All'improvviso un gatto schizza via dal nulla inseguito da un cagnetto. Salta sulla vasca. L’uomo ha un sussulto proprio mentre
il micio gli sorvola l’ombelico e tutti e due, senza sapere come, finiscono in acqua.
   Il felino, a cui zuppo com'era la testa si era stranamente allungata, annaspa fino al centro della fontana arrampicadosi sul gruppo di pietra. Il barbone esce fuori dall'acqua e si avventa sul cagnetto, che abbaiava con le zampe sul bordo della vasca, e con un calcio lo manda a guaire tra le vesti di una donna bionda, robusta, in camicione indiano. La quale, preso in braccio il cagnolino, se lo stringe teneramente al petto.
   Il vagabondo, che di pedigree se sapeva qualcosa apparteneva al passato, raccoglie due buste di plastica e si avvia verso la Casina Valadier. La donna gli lancia un acutissimo 'delinquente!', che fa seguire da un meno acuto ‘violento!’, impostato a mezzo registro; poi si siede a carezzare il cane.
   Sulle panchine attorno, sotto gli alberi, c’erano varie persone - chi leggeva, chi parlava, chi ascoltava le cicale.
   “Ma non è lei?”, fa una che sfogliava una rivista su una panchina, dove erano sedute in tre. Le altre guardano in direzione della donna col cane. “Ma si è lei", fa ancora quella con la rivista, "è la Sutherland!”
   “Ma quale Sutherland!”, fa l’amica che lavorava all’uncinetto. “Che è così giovane la Sutherland?”
   La donna con la rivista rimane perplessa. Si gira verso la terza donna, seduta accanto, una vecchia tutta scollata che si sventagliava con una busta da lettera, le nocche delle dita deformate dall’artrosi. Poi riguarda l’amica.
   “È lei, è lei, su! sono sicura.”
   “Era lui!”, fece in un’altra panchina un uomo sui sessanta. Parlava con una donna sui trenta in t-shirt bianca, che dondolava un passeggino.
   “Mah! ... Mi pare strano”, fa lei. “Secondo te, papà, un principe si riduce a vivere in quel modo?”
   “E be’?, fa lui. “alla fine è un essere umano come tutti gli altri ... Dice che al compleanno del padre i camerieri l’hanno bloccato giù ai cancelli, non l'hanno fatto nemmeno passare. Che roba ...”
   La figlia annuì, tanto per farlo contento. “E si vede che pure lui tanto buono non è, papà ... Che se un padre non fa entrà un figlio vuol dire che il figlio non è proprio uno stinco di santo.”
   Il padre se la guarda un po', poi scuote la testa, quasi a commiserarla. “Ma che ne vuoi sapere tu­? ... Ma che ne sai tu? ... Ha ragione tuo marito quando dice che sei testarda ... Ma dimmi tu come ragiona, questa! ... Quelli so’ principi, lo vuoi capì o no?”
   “Ma che era il principe Odescalchi?”, gli fa dalla panchina accanto quella che leggeva la rivista e che diceva di aver riconosciuto la Sutherland.
   “E certo, che era lui ... Quello che s'è fatto barbone ... L'ho riconosciuto bene ... Aveva anche il viso tutto butterato ...”
   “Pensi che la proprietaria del cane”, disse lei indicando la donna seduta dall’altra parte della vasca, “è la Sutherland."
   Lui di Sutherland non sapeva. Lei gli disse che era una cantante d’opera e che comunque si sarebbe dovuto capire da come urlava, da come emetteva certi suoni. L'uomo parve ascoltarla, ma in fin dei conti non poteva dirlo, a lui l’opera non piaceva. E si informò con la figlia.
   Dalle altre panchine dovevano levarsi commenti simili, perché a quell’ora e con quel caldo gli avvenimenti si contano a gocce. L’ammiratrice della Sutherland disse che voleva domandare l’autografo ma si vergognava.
   “Gli inglesi hanno tutti un caratteraccio."
   “Oh, non creda”, fece la vecchia che sedeva accanto, “non sono mica tutti uguali. E poi la Sutherland è australiana.”
   “Glielo dica lei che non è la Sutherland”, disse quella che lavorava all’uncinetto. “E poi, se anche fosse, come fai a chiederle l’autografo con quella arrabbiatura che s’è presa ..."
   Whisky era saltato giù dal grembo della padrona e si era di nuovo affacciato al bordo della vasca. Abbaiava al felino che si asciugava al sole. Lei, la padrona, lo richiamò: emise un paio di ‘Whisky!’ di petto, che l’ammiratrice dovette seguire con orecchio più o meno esperto.
   “È lei!”, dice, e si alza. “Cerca nella borsa di paglia e fa due passi verso la proprietaria del cane ma si ferma vedendola venire dalla loro parte. Quando la donna le fu vicina l’ammiratrice disse che quello era un mascalzone, che cosa ci voleva fare ... L’importante era che il cane stesse bene.
   “È un cafonaccio”, fa la padrona di Wisky, “e nessuno ha detto niente.”
   “Ma quale cafone!”, fece l’uomo che era con la figlia, “ma quello è un principe, signò!”
   “Sarà un principe”, fa lei, “ma è un vile! Non si colpisce così una creaturina.”
   Il tipo prese le difese del nobiluomo. Si lamentò che i cani se li tenessero al guinzaglio tante cose non succederebbero. Poi con la figlia si alzarono e insieme spinsero il passeggino verso il Viale delle Magnolie.
   L’ammiratrice, che attraverso gli occhialoni da sole continuava a vedere ciò che in quel momento le stava a cuore più di ogni altra cosa, disse di non dargli retta, che a quello il sole gli aveva dato alla testa, non si sapeva di che principi parlava. E le fece un sorriso. Scambiarono due o tre parole, poi l’ammiratrice mise di nuovo la mano nella borsa e guardò l’amica, che le disse piano di rimettersi a sedere.
   “Ma non la senti che è romana?”, fece.
   L’ammiratrice, scrutò l’anziana, che invece sollevò le spalle come dovette fare Ponzio Pilato. Alla fine porse un'agendina a quella del cane e le chiese se poteva firmarle un autografo. La donna guardò le tre, scosse la testa come a prenderle tutte e tre per disperate, e se ne andò a mettere il guinzaglio al cane.

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