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domenica 18 gennaio 2015

la matematica e il perdersi e il non ritrovarsi

... nella matematica preferisco perdermi, come in qualsiasi altra lingua - a che scopo ritrovarsi? ("non è tanto il perdersi", dice il principe di Foix nella Recherche a un presuntuoso avvocato ebreo (aveva fatto una stupida battuta dopo aver sentito dire che la sua carrozza s'era persa tre volte quella sera), "quanto il fatto che alla fine non ci si ritrova" - "qu'on ne se retrouve pas"). A che scopo perdersi se solo per ritrovarsi nell'illusione di aver conosciuto se stessi?... Preferisco il continuo movimento, una barca a vela quando c'è vento: l'immagine dell'Ulisse dantesco che coi suoi compagni si perde definitivamente oltre le colonne di Ercole. Una "canoscenza" non più del sé ma di ciò che va oltre il sé ...

mercoledì 24 dicembre 2014

il pellicano e il destino dell'uomo. dal deserto alla piscanalisi




foto Yuru Belyaev


Il pellicano, detto anche spatola, è sicuramente, nel bene o nel male, uno di quegli uccelli che in ogni tempo, per la curiosa forma che può assumere il becco, si presta meglio di altre creature a rappresentare l'uomo, anche se poi, nelle diverse culture, ciò avviene secondo rappresentazioni differenti e diverse - ad esempio nei salmi è l'immagine  dell'uomo sofferente, abbandonato da Dio:


דמיתי לקאת מדבר  (damithi liq'ath midhbar)

 somiglio a un pellicano del deserto (102, 6)

קאת (qe'ath) - pellicano - viene da alcuni collegato a קיא (qi') vomitare (così almeno il Brown-Driver-Briggs, per il quale il pellicano vomiterebbe dal gozzo il cibo per i suoi pulcini) ma forte è il sospetto che sia invece da unirsi a  קבב (kabab - pronunciato kavàv): rendere cavo, formare, costruire una volta, un arco, con riferimento a una tenda e quindi, credo, al gozzo; ma il verbo vale anche metaforicamente: maledire, esecrare - propriamente: perforare: col che si  ritorna all'idea del lungo becco appuntito. Insomma tutte immagini che in qualche modo, in ogni epoca, si adattano all'uomo e al suo continuo movimento interno/esterno, così come nel tardo ebraico si trova per esempio, sempre agganciato a questa radice, קוּבה, (qubba) lupanare, evidentemente prossimo all'arabo قبة  - qubba (alcova) [e tuttavia la "u" è lunga in ebraico e breve in arabo], comunque luogo chiuso e provvisto di volta (vedi anche l'italiano case chiuse ma anche l'idea del letto a baldacchino).

Nel mondo cristiano il pellicano (termone che tra l'altro proviene dal greco πέλεκυς, ascia - la forma del becco in certi momenti) non vomita il cibo per i suoi piccoli: si apre direttamente il petto, il costato, e offre qualcosa di pù prezioso, come nei due noti versi del Morgante del Pulci:

Quivi si cava il pellican dal petto
Il sangue, e rende la vita a’ suoi figli (14,51)

che dipende sicuramente, e in via diretta, dal Buti, e dal suo commento a Dante.

E sembrerebbe paradossale citare in mezzo a tanta prosaicità e ferocia proprio quei versi del Paradiso:

Questi è colui che giacque sopra ’l petto
Del nostro pellicano (25,2)

la dolcezza di Giovanni che posa la testa sul petto del suo amato Cristo, versi interpretati in effetti da Francesco da Buti in modo alquanto curioso: 

Pellicano è uno uccello, che nasce nell'Egitto, ed è bianco, e poichè ha allevato li figliuoli, e sono cresciuti, si levano li figliuoli contra lo padre, e la madre, e combattono con loro percotendoli nel volto, tantochè lo padre, e la madre gli uccide; e poi lo padre sta sopra li figliuoli, e dassi nel petto suo col becco, tantochè n'esce lo sangue, e spargelo sopra loro, e così li risuscita.

Curioso se si pensa che Cristo, in quanto pellicano, avrebbe i questo modo in un primo tempo ammazzato i  figli e poi col suo stesso sangue li avrebbe resuscitati. Meno curioso se si pensa ai sensi di colpa, nei quali affoga comunemente l'umano. Senmpre che non si voglia intendere per pellicano direttamente Dio: che fosse stato Dio Padre a "uccidere" l'uomo (a farlo precipitare nella dannazione). Un capovolgimento comunque rispetto all'immagine dei salmi da cui si è partiti, dove il pellicano è sempre è soltanto l'uomo (tra l'altro, il deserto di cui si parla nel salmo 102 è in ebraico מדבר (midhbar), che significa anche bocca, e se la bocca dell'uomo la si paragona a un deserto, non si direbbe niente di nuovo, e in tutti i sensi: sia per la sua aridità, per l'inutilità della sua parola (di cui è un esempio, oggi più che ieri, lo sciocchezzaio vomitato da politici, giornalisti, televisioni, internet, ma anche nel privato) sia per la sua effettiva grandezza, voracità infinita (bocca de ciavatta, a Roma, in inglese shut your big mouth) .



 

mercoledì 24 settembre 2014

il giuramento di Ippocrate e i cinque e più traditori

Il bollettino medico con cui si annunciava la morte di una delle più sanguinarie fecce della storia recitava testualmente:

"Comunichiamo la dolorosa morte dell'ex presidente della repubblica ed ex comandante in capo dell'esercito eccetera" (sedicente presidente della repubblica e automaticamente decaduto dalla carica di comandante in capo dell'esercito nel momento stesso in cui insieme agli altri tre supremi vigliacchi traditori del suo paese tradì il giuramento di fedeltà fatto nelle mani dell'ultimo legittimo presidente che quel paese abbia avuto prima delle nuove, chiamiamole così, democratiche elezioni).

E sarà stata una morte anche più che dolorosa per questo medico che, prestato in gioventù un altro universale giuramento, quello di Ippocrate - "vivrò per il bene dei malati secondo le mie forze e il mio giudizio..." - non poté non redigere il triste bollettino annacquandolo delle private lacrime del suo libero arbitrio - molto meno penosa per i parenti delle migliaia di desaparecidos e vittime di un regime che godeva (come sempre ogni regime capitalistico e fascista) del beneplacito della Chiesa Cattolica (se si escludono le eroiche frange della Teologia della Liberazione ampiamente avversate dall'allora papa e dalla sua curia o cricca, soprattutto da un certo segretario di stato traditore della lettera evangelica e a cui Dante avrebbe riservato il posto che riservava tutti i traditori di qualsiasi risma).

E non solo i parenti, ma una grossa porzione del paese avrà festeggiato in quel triste nero luttuoso giorno per i carnefici. Così come alla morte di Filippo gli ateniesi (anche coloro che con Filippo in vita non gli erano avversi e contro la viltà dei quali si scaglia Pluatrco) festeggiarono con a capo l'unico vero nemico e avversario di Filippo, Demostene, che si presentò alle celebrazioni per ringraziare gli dei tutto in ghingheri e con una bella veste sgargiante e inghirlandato (ἔχων λαμπρὸν ἱμάτιον ἐστεφανωμένος).

Quello che invece non si capisce è come abbia fatto, alla morte di quella sanguinaria canaglia, l'allora presidente socialista, che assieme ai suoi familiari venne sottoposto per ordine di quegli infami traditori alle più abbiette torture, a cedere a pressioni esterne e a far presenziare ai funerali di questo assassino e genocida il ministro della difesa del suo governo. Il quale venne poi giustamente fischiato da bande di migliaia di fascisti arricchitisi negli anni della dittaura e radunati a dare l'estremo saluto alla canaglia delle canaglie.


venerdì 4 luglio 2014

Il rosso e il blu. Lingua e galera





Burning Blue, titolo di un recente film americano: la storia d’amore tra due piloti dell'aviazione navale negli anni precedenti il periodo clintoniano, l’amministrazione Clinton, che cercò di cancellare le norme antiomosessuali in vigore in ambiente militare e si finì invece per adottare la politica dello struzzo: don’t ask don’t tell ( se sei omosessuale, uomo o donna, tientelo per te e noi, vertici militari, non ti rompiamo i c. – "promessa", tra l'altro, da marinaio).

Sempre sull'espressione burning blue.  E' un tipico ossimoro, nel caso del titolo del film perfino inevitabile dati i legami altamente esplosivi di cui il film racconta (Les liaisons dangereuses è giustamente uno dei libri più disseminati di ossimori, compreso il titolo). Un ossimoro per chi ce lo sa vedere, per chi ha visto o immagina una storia d’amore tra due uomini, due ragazzoni sposati, freddi, algidi (o che dovrebbero esserlo), e che dovrebbero solcare i cieli a velocità supersoniche e far bruciare il freddo blu dei cieli con la loro passione.

Ancora su burning blue. D'altra parte il cielo è sempre più blu e freddo. Nessuno riuscirebbe

giovedì 26 settembre 2013

Storia del mondo in mezza pagina. Se la donna dicesse "no".


Se per un eccesso di barbarie tutte le acquisizioni tecnologiche e intellettuali venissero di colpo abolite e l’uomo e la donna si ritrovassero al semplice stato di natura e a non avere come unico possesso se non se stessi, che altro potrebbe ancora succedere? Per parecchio tempo

sabato 3 agosto 2013

Specchio delle mie brame: capitalisno e farsa della battaglia di Farsalo


Gneo Pompeo Magno


L’esito della famosa non battaglia di Farsalo, nella quale Cesare sconfisse Pompeo nel giro di pochissime ore, sarebbe stato deciso, a voler seguire Plutarco, da una semplice e elementare accortezza tattica: un curioso riferimento, in pieno scontro armato, al

martedì 11 giugno 2013

invidia

Più che nei versi 109-111 del primo canto dell’Inferno (o più che altrove in questa stessa cantica), una più realistica descrizione delle alterazioni psico-fisiche che l’invidia produce in un qualsiasi invidioso Dante l'ha data nel Purgatorio, e in particolare in quel passo in cui Guido del Duca con estrema precisione gli descrive ciò che ha potuto di questa affezione osservare in se stesso. È in effetti non facile dover ammettere che all'invidia sia stata riservata - è il senso di questo percorso che Dante le fa fare dall'Inferno al Purgatorio - una specifica forma di espiazione. Non sembrerebbe esistere, infatti, pena sufficientemente grande per chi si abbandona a questa bestia spirituale che modifica l’aspetto esteriore di un uomo o di una donna nel modo che tutti sappiamo:

Fu il sangue mio d'invidia sì riarso
che se veduto avesse uom farsi lieto,
visto m'avresti di livore sparso

Non vi è individuo che fin dalla più tenera età non ne faccia esperienza, se sant'Agostino nelle Confessioni dice di aver visto un bambino guardare con penoso livore un altro bambino, suo fratello; e alberga, questa invidia, più nel mondo intellettuale e degli scrittori e degli artisti che in quello dell’uomo qualunque: le università ne sono pregne e anzi proprio chi nel mondo accademico, a giudicare dalle capacità e dalla non comune qualità del suo lavoro, dovrebbe esserne immune, appare roso dall’invidia fin nel midollo, ne è plasmato nella fisionomia, modificato nel colore, come nei versi di Dante. Lo stesso dicasi di tutti quegli ambienti dove strumento professionale è la parola: giornali e televisioni prima di tutto, ma anche di quei luoghi dove la parola dovrebbe essere preghiera: comunità monastiche, diocesane ecc.

Che l'invidia sia trattata in Dante così contraddittoriamente (una volta le fa infestare l’Inferno un’altra il Purgatorio) non viene in realtà mai preso in considerazione nei tanti commenti inutili che i ragazzi nelle scuole sono costretti a leggere. Eppure questa sorta di duplice localizzazione dell'invidia era forse l'unico artificio a cui il buon Dante - che dell'invidia fu vittima - avrebbe potuto ricorrere se voleva che l'intero impianto della Divina Commedia non gli crollasse addosso: perché se l’invidia l'avesse messa soltanto nell’Inferno, non ci sarebbero stati né Purgatorio né Paradiso: avrebbe dovuto fare un unico calderone di anime in pena.   

lunedì 15 aprile 2013

Dei grilli il verso ...


                                          Bruegel - Il Paese della cuccagna


Scrivevo ieri in un commento a un post in un blog dedicato alla lettura e alla letteratura (Il naufragio: una metafora esistenziale) che uno dei primi poeti a offrire l'immagine di una “nave sanza nocchiere in gran tempesta”  è  Alceo, nel VII secolo dell’era pagana, in una delle sue odi: questo mare che infuria da tutte le parti e la nera nave con noi sopra trasportata senza guida e senza meta ... È appunto la metafora di uno Stato ormai in balia dell’incontrollabile. La grande letteratura, la poesia, non è altro che spirito profetico, di senso cioè della realtà: di dialogo col reale anticipandone o riflettendone le dinamiche sociali. Ma qui, questa immagine di Alceo (poi in Orazio, e in tanti scrittori cristiani, e poi in Dante) è diventata un possesso definitivo, un'acquisizione per sempre, come avrebbe detto Tucidide; ed è strano come si tenda sempre a dimenticare, e come l'umanità ci sbatta continuamente il grugno … Si preferiscono altre metafore meno inquietanti, più campestri, ma che nei grandi poeti hanno ugualmente una loro preoccupante ragione d'essere ... de' grilli il verso che perpetuo trema ...