venerdì 4 luglio 2014

Il rosso e il blu. Lingua e galera





Burning Blue, titolo di un recente film americano: la storia d’amore tra due piloti dell'aviazione navale negli anni precedenti il periodo clintoniano, l’amministrazione Clinton, che cercò di cancellare le norme antiomosessuali in vigore in ambiente militare e si finì invece per adottare la politica dello struzzo: don’t ask don’t tell ( se sei omosessuale, uomo o donna, tientelo per te e noi, vertici militari, non ti rompiamo i c. – "promessa", tra l'altro, da marinaio).

Sempre sull'espressione burning blue.  E' un tipico ossimoro, nel caso del titolo del film perfino inevitabile dati i legami altamente esplosivi di cui il film racconta (Les liaisons dangereuses è giustamente uno dei libri più disseminati di ossimori, compreso il titolo). Un ossimoro per chi ce lo sa vedere, per chi ha visto o immagina una storia d’amore tra due uomini, due ragazzoni sposati, freddi, algidi (o che dovrebbero esserlo), e che dovrebbero solcare i cieli a velocità supersoniche e far bruciare il freddo blu dei cieli con la loro passione.

Ancora su burning blue. D'altra parte il cielo è sempre più blu e freddo. Nessuno riuscirebbe
a immaginarlo di fuoco, se non in prossimità del sole, a differenza di una qualsiasi fiamma, di cui è la parte rossa a risultare meno calda. Un blu che brucia: un freddo che brucia. Così come in americano si direbbe: burning with a low blue flame, un fornello che brucia a fuoco basso, a indicare una massima incazzatura dietro un'apparenza di tranquillità. Niente altro che questo.

Più volgarmente in italiano: mano fredda cuore caldo.

Tipiche licenze poetiche che quando non sono abusate continuano a colpire l’orecchio del lettore o l’occhio dell’ascoltatore. Quasi un permesso speciale concesso d’autorità all’artista – in realtà strumenti di libertà con cui sottrarsi, momentaneamente, alla galera del linguaggio, sempre che si sappia utilizzarli', con ironia sarcasmo, umorismo. Maestri del paradosso.

La possibilità di mandare per un attimo il superego - il gendarme che controlla ogni nostra frase - a farsi fottere. Se volessi suggerirlo ancora in inglese direi: poets and songwriters (and everybody else) have a special dispensation: the usual rules of language do not apply.

Dell'arte, quella che fa uso della lingua, dovrei dire la stessa cosa che dice Wittgenstein della filosofia, che non sarebbe altro che la conseguenza di un lingua male intesa, di un ab-uso della lingua. La letteratura è la conseguenza di una lingua volutamente male intesa dall'artista e male intesa tout court dal lettore o dall'ascoltatore. La grandezza di un’opera letteraria risiede soltanto in questo. Non è un caso che ancora oggi si continua a fare esegesi del testo di Dante e che Joyce, per il suo Ulisse, prevedesse infiniti commentari, e anche infinite spiegazioni su strane varianti grafiche  - non mi ricordo dove Sciascia lo riporta: l’editore di Joyce fece una candida confessione: la prima edizione dell’Ulisse conteneva migliaia di errori tipografici, di refusi, ma non era stato un problema, perché nessuno se n’era accorto, o venivano considerati parte della difficoltà dell’opera.

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