giovedì 10 luglio 2014

Il caso Canella-Bruneri, il dna e gli occhi di Sciascia


Lo smemorato in manicomio e foto segnaletica di Bruneri


Sembra che ci credano. I giornali, voglio dire. Credono al dna come prova definitiva di qualcosa. Sarebbe interessante vedere questi cronisti, freschi di laurea (li si può ancora immaginare a farsela sotto nelle varie sessioni d'esame) sarebbe interessante, visto che hanno tutto il tempo e i mezzi che offre un grande giornale, una televisione, vederli domandare, almeno una volta nella loro vita, a questi cosiddetti "scienziati" (in realtà non sono altro che tecnici) se sia possibile da un semplice peto ricavare il dna di un individuo, o se invece la puzza non sia - come per il dna - già personalizzata e tipica, differente da persona a persona e da caso a caso, e se non siano quindi soldi sprecati quelli investiti in ricerche simili se dopotutto lo scopo è riconoscere semplicemente chi l'ha fatta, chi ha offeso le povere narici del prossimo, sull'autobus o su un treno della metropolitana, o anche in ascensore, chiunque l'abbia usato un attimo prima, e che come lo struzzo, contando sulle carenze della scienza, l'ha mollata.

Così il caso Bruneri-Canella, di cui i giornali oggi dopo ottant'anni, e dopo che Sciascia aveva già
magistralmente percorso, in un meraviglioso volumetto del 1981 (Il teatro della memoria), tutte le carte processuali e gli articoli dell'epoca, e aveva già illustrato come stessero effettivamente le cose, i giornali, dico, oggi assicurano finalmente i lettori che il dna ha parlato (ipse dixit), "ha confermato" che lo smemorato di Collegno, del manicomio di Collegno, pescato a rubare vasi d'ottone al cimitero israelitico di Torino, non era il professor Canella ma un certo Bruneri, già schedato dalla polizia e ex tipografo di fede anarchica. Che fosse un volgare ladruncolo i giornali non lo dicono. Dicono semplicemente che non era il professor Canella, fondatore (questo lo aggiungo io) assieme a Agostino Gemelli della Rivista di Filosofia neoscolastica. E dicono anche, i giornali, che il test, il maledetto test, avrebbe lasciato l'amaro in bocca a un nipote, il quale sperava di essere un discendente dei Canella invece che dei miserabili Bruneri. Hai capito, Sciascia? e ci fosse un cronista che ti citi, che citi il tuo bel libro (e mi ricordo quei tuoi occhi attenti, penetranti, intelligenti, che in una strada di Roma, quando ero ragazzo, si posarono per qualche istante incuriositi su di me e qualcuno mi disse - mio zio, credo - che eri Sciascia). E ci voleva il dna, per capire ciò che da subito era apparso chiaro a carabinieri e polizia, e a giudici istruttori del processo di primo grado, e poi a magistrati giudicanti nei successivi gradi, appello e Cassazione.

E c'era, tra questi articoli dell'epoca, citati da Sciascia, il giudizio di un cronista che seguiva il processo evidentemente in maniera un po' più intelligente di quanto facciano coi processi attuali gli odierni cronisti muniti di sofisticatissimi Samsung; questo cronista a un certo punto scrisse che la cultura dello smemorato di Collegno era "superficiale, scombinata e 'parenoniana' ". Dice Sciascia, con superba ironia:

"La parola (parenoniana) inquietò molto lo smemorato, non riuscì a trovarla 'nemmeno nell'Enciclopedia'. E non ce l'avrebbe trovata", aggiunge Sciascia, "nemmeno se non fosse stata guastata da un errore tipografico".

Parenoniana, cioè paneroniana, da Paneroni: Giovanni Paneroni, conosciuto anche come l'astronomo, una sorta - mi verrebbe da scrivere in questo mio diario - di dilettante: scrittore e disegnatore e patafisico puro - e la patafisica  non è altro, appunto, che la scienza delle soluzioni immaginarie.

Totò nello Smemorato di Collegno

E mi viene anche da pensare che l'Enciclopedia che utilizzava lo smemorato, che all'epoca viveva more uxorio con la moglie di Canella (che l'aveva "riconosciuto" per il suo disperso marito: riconosciuto sicuramente a letto, dalle dimensioni e prestazioni, ma che lo Stato non riconosceva) mi viene da pensare che l'Enciclopedia in cui lo smemorato andò a guardare non poteva non essere che quella che trovò in casa del professor Canella, nella sua fornita biblioteca, di sicuro non la Treccani, che veniva fondata in quegli anni. Ma sicuramente doveva essere un'enciclopedia di tutto rispetto se Giulio Canella si occupava di filosofia. Di qui il giusto disprezzo dello smemorato (o professor Canella, come si sentiva lui), disprezzo di quel cronista che alle sue colte baggianate non aveva mai creduto. Nè al fatto che fosse smemorato. E mi pare appunto che non ci fosse, a disposizione dei giudici, in tutti i gradi del processo, miglior prova indiziaria di questa: della reazione cioè dello smemorato, che si sentiva ormai Canella e aveva recuperato la memoria e poteva esprimersi con tutta franchezza su quella parola, su quel parenoniana: "non l'ho trovata nemmmeno nell'Enciclopedia". Era in questo "nemmeno" che si lascia sfuggire la chiave di tutto. Che a chi sa capire o vuol capire dice molto. Laddove il dna mi dice soltanto che una certa ricercatrice, assunta in certi laboratori, ha trovato il modo di brillare, come è tipico di chi vale come l'asso di picche, di farsi nominare dai giornali e dai vari siti internet per aver scoperto l'acqua calda.

Nessun commento:

Posta un commento