giovedì 3 luglio 2014

L’uomo sempre arcaico. Nota su Wittgenstein etico II





“Wenn von der Majestät des Todes ergriffen ist, kann dies durch so ein Leben zum Ausdruck bringen. – Dies ist natürlich auch keine Erklärung, sondern setzt nur ein Symbol für ein anderes. Oder: eine Zeremonie für eine andere.”

(Chi è afferrato dalla maestà della morte può portare a espressione "questo" [la maestà della morte] attraverso una vita simile. – Q u e s t o naturalmente non è una  s p i e g a z i o n e  ma pone soltanto un simbolo al posto di un altro. Oppure: una cerimonia al posto di un’altra).

Questa osservazione di Wittgenstein, nelle Note al Ramo d’oro di Frazer, dove si riferisce a un modello di vita che fai conti tutti i giorni con la sacralità della morte, potrebbe essere considerata una
formula di corrispondenza (metafora, sostituzione di un simbolo con un altro) e di invarianza.

L’uomo contemporaneo, che si vanta di aver superato tutte le superstizioni, la magia eccetera, non ha mai smesso in realtà di attuare proprio sostituzioni di questo tipo, riferite qui da Wittgenstein al rito arcaico del sacerdote re di Nemi. Si può dire che ogni volta che usiamo una metafora o imitiamo qualcosa perché si è stati colpiti da questo qualcosa - un fenomeno, un comportamento, un modo di muoversi di una persona - allora la mente dell'individuo contemporaneo non agisce diversamente da quella dell’uomo che duemila anni fa comprende ancora perfettamente e considera naturale il rito del re di Nemi (secondo il quale il sacerdote re, che vive da solo nel bosco di Nemi, in uno stato di continua tensione e allerta, può essere sostituito soltanto da colui che riuscirà ad ucciderlo).

Ovviamente ciò si realizza solo se si realizza l’equazione, la corrispondenza: se due simboli vengono considerati equivalenti. Ad esempio un boss di Secondigliano si muove e cammina in un certo modo. E’ un re. Se metto l’espressione la maestà della morte accanto a quel tipo di vita mi accorgo che sono la stessa cosa. Se vengo impressionato dalla maestà della morte cerco di imitarla. Cosa decide il fatto che imito un qualcosa piuttosto che un altro? La forza di un simbolo rispetto a un altro ugualmente suscettibile di imitazione. Forza del simbolo che devo intendere anche come assenza dell’altro simbolo. Che è poi ciò che permette alla Camorra di continuare ad avere il suo bacino di rifornimento.

Altro esempio. Vedo un ragazzo che cammina a gambe divaricate, come un cowboy. Se pongo accanto a questo l’espressione: l’ostentazione della forza del maschio, mi accorgo che il ragazzo che cammina a gambe divaricate e l’ostentazione della forza del maschio sono la stessa cosa.  Se ne resto colpito, posso portare ad espressione questo (l'essere colpito) attraverso un modo di muovermi simile. Cosa mi impedisce – o cosa decide - che in questo modo di camminare io ci veda immediatamente l’ostentazione della forza del maschio piuttosto che il segno che il ragazzo si è semplicemente comportato come Cesare in Bitinia, quando cedette, secondo quello che si racconta, al re Nicomede, imitando non il maschio ma la donna, finendo nel suo letto e uscendone con qualche ammaccatura? Lo deciderà la mia aspettativa: tanto più forte sarà la mia aspettativa di vederci l’ostentazione della forza del maschio tanto più questa aspettativa oscurerà l’altra.

Il problema qui non è tanto il funzionamento della metafora o dell’imitazione o della sostituzione, quanto il fatto che non ci sia stato nessun affrancamento dell’uomo dai meccanismi del linguaggio da centocinquantamila anni a questa parte.

Lo scienziato poi è colui che attua col suo tipo di vita, la metafora più ardita: se pongo la vita di uno scienziato accanto all’espressione "superiorità assoluta" (Dio) mi accorgo che sono la stessa cosa. Se sono colpito da questo, cercherò di portarlo a espressione attraverso una vita simile. In altri termini, l’uomo contemporaneo (compreso lo scienziato) funziona esattamente come l’uomo primitivo.

Vedi anche abderitismo (nessun progresso nessun regresso - Kant)

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