venerdì 18 luglio 2014

Calunnia e diffamazione. Nota su Kafka e Busi querelato

Sarebbe strano scegliere di tradurre con “diffamazione” piuttosto che con “calunnia” l’inizio comicissimo del Processo di Kafka, quando Joseph si è appena svegliato e prende atto di una nuova situazione:

Jemand mußte Josef K.  v e r l e u m d e t  haben, denn ohne daß er etwas Böses getan hätte, wurde er eines Morgens verhaftet.

Qualcuno doveva aver “diffamato” Joseph K., poiché senza che avesse fatto niente di male venne una mattina arrestato.

Verleumden, cioè diffamare, di cui Diffamierung, da un punto di vista giuridico, è un semplice sinonimo, è un reato ancora oggi previsto dal codice penale tedesco (articolo 187)   – Kafka, che era laureato in Legge e era di Praga (e  morì a Vienna), visse in effetti per qualche tempo, saltuariamente, pure a Berlino, con la sua Felice, e proprio negli anni in cui scrive il Processo. Ma a Kafka, almeno per la precisione terminologica, il diritto austro-ungarico o tedesco in questo passo interessava paradossalmente poco.

E’ indubbiamente, scegliere di tradurre l'inizio del Processo con “calunniato” invece che con "diffamato", una questione di registro (oltre che di causa e effetto - non ci sarebbe a rigore diffamazione senza che qualcuno ti calunni): diffamare (articolo 595 del codice penale) suona immediatamente tecnico, calunniare, che pure è tecnico (articolo 368) è nello stesso tempo più “terra terra” (e lasciamo perdere che nessuno sa cosa significhi giuridicamente, e che lo si usi come sinonimo di diffamazione): ha, nella mente dell'uomo e della donna della strada (o del cellulare) un qualcosa di generico, più facile da usare. Di più adatto insomma a un risveglio, come nel romanzo di Kafka, a un parlare a se stessi, quando non si pensa ancora all'ampia diffusione che avrà la "calunnia" (la calunnia è inizialmente un venticello): al più si penserà a una voce giunta all'autorità (la diffamazione, in termini giuridici e quindi sociali, verrà per forza in seguito). Epppure nessuno oggi per la strada, neanche a volersi riferire alle varie fasi di un'azione penale, direbbe l'ha calunniato (art, 368), nessuno si esprime così, se non nei vecchi romanzi, e non direbbe nemmeno l’ha diffamato (art. 595): in effetti si tende a usare il sostantivo, il più delle volte senza specificare (si sa già di cosa si parla): s'è beccato una querela, una denuncia per diffamazione (il termine “denuncia” è appunto usato costantemente a cazzo di cane, e la denuncia, a differenza della querela, non contiene nessuna manifestazione di volontà a voler perseguire il colpevole: è un lavarsene le mani, può presentarla, la denuncia "chiunque", senza che poi compaia il suo nome. E' un po’ come dire: io ve l’ho detto a voi poliziotti e carabinieri, poi fate "vobis"). E' un fare la spia, insomma.

Per poter querelare qualcuno per diffamazione (a parte quei pochi casi che raggiungono le aule di tribunale, e in genere per una parolaccia che un inquilino ha lanciato a un altro) bisogna comunque essere famosi: cioè girare per la strada o entrare nei club più conosciuti con l'idea di essere un personaggio pubblico, con le piume cioè che ti escono dal sedere: bisogna che in qualche modo si pensi che chi ha offeso la tua onorabilità ti abbia con ciò trasformato da persona famosa in diffamosa. E sarà forse per questo (perché vedo costantemente queste piume che escono dal sedere) che ogni volta che sento dire che qualcuno ha querelato per una sciocchezza un altro per diffamazione, faccio tra me e me una pernacchia - tolti quindi i casi veramente più importanti e temibili, quando si è ingiustamente accusati di un reato - mi esce immancabilmente qualche volgarità. Il massimo è quando si sente dire, improvvisamente, in televisione: “lei è querelato!”, come ha fatto con Aldo Busi un ex ministro, mi pare, o deputata al (figuriamoci l'importanza) Parlamento italiano, deputata quindi dal popolo tutto a rappresentarla, il quale deve essersi sentito anche lui diffamato insieme a questa sua eletta, che però non si era scelta affatto, visto che gli elettori non potevano, in quella tornata eletterale, come nell'ultima, scegliere i loro candidati. E ha detto, questa ministra o deputata a Busi, scappando via dallo studio, forse per la vergogna (parlavano di mutandine): "lei è querelato!". Quasi a dire "sei querelato già prima che io presenti la querela, sei nella condizione di querelato".

Ma in realtà, quest'ultimo esempio, non è incoerenza, mancanza di chiarezza o illogicità: è un ellissi vertiginosa, che rivela semplicemente una grande cultura letteraria, linguistica: sarebbe come dire: sappia, lei Busi, che domani a quest’ora, quando il mio avvocato presenterà querela, le è già querelato percché lo è da questo momento.

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