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mercoledì 18 marzo 2015
mercoledì 24 dicembre 2014
Stendhal, il teorema di Lagrange e i safety tutor sulle autostrade
La questione del successo postumo è strettamente legata al denaro che si può ricavare da un autore, da un pittore eccetera morti in assolutà povertà, in stato di quasi indigenza; per altri invece la questione non cambia: erano comunque ricchi o benestanti, anche se è difficile pensare che chi è poi finito nel calderone dei classici non sputasse costantemente sangue, se si vuole tener fuori il conte Giacomo Leopardi e pochi altri, Proust eccetera. Quando a cinquant'anni Stendhal dice nei Ricordi di egotismo che dieci anni prima gli restavano soltanto 3500 franchi (forse qualcosa come diecimila euro di oggi), e che una volta finiti avrebbe avuto almeno la gioia di farsi saltare le cerevella non immaginava il mare di denaro che gli editori in tutto il mondo avrebbero cominciato a far girare cento anni dopo coi suoi libri. Per altri - e questo è più vero in ambito accademico - la quantità di grana che si sarebbe generata con qualche loro scoperta è talmente incommensurabile che neanche il loro genio avrebbe potuto calcolarla. Che è per esempio il caso di Lagrange e del suo bellissimo teorema o formula sulle funzioni derivabili, quella che stabilisce, se applicata al movimento, che la velocità media che si percorre in un tratto di strada tra un punto a e uno b è uguale alla velocità istantanea calcolata in un punto compreso tra a e b:
(f(b)-f(a))/(b-a)=f '(x)
Che è poi la formula usata dai safety tutor in autostrada, quei dispositivi che calcolano la velocità media di un mezzo. Così se è vero il teorema di Lagrange (e non ci sono ragioni per non crederlo vero) poiché ci sarà almeno un punto nel tratto in cui la tua velocità è uguale a quella media calcolata sull'intero percorso, allora se alla fine la tua veloctà media risulterà superiore a quella che ti è stata imposta su quel tratto, vuol dire che c'è stato almeno un punto in cui l'hai superata. E questo, al di fuori della matematica, può dirsi anche di qualsiasi autore, pittore, musicista, o politico che sia passato alla storia.
Il torinese Lagrange - anzi Giusepper Ludovico Lagrangia (il suo nome sarebbe suonato ugualmente grande se avesse conservato la grafia italiana) era in fondo un semplice borghese, un benestante. Ma meno attento al denaro che alla gloria. E che sicuramente guardava solo all'esprit de géométrie: che cosa poteva fregargliene delle centinaia di milioni di euro che un giorno avrebbero fatturato con la sua formula se già sentiva il suo nome appartenere ai posteri? Ebbe vita facile (a parte gli anni di apprendistato - che fosse stato autoditatta nello studio della matematica superiore va ascritto a suo merito e dovette farlo a tozzi e bocconi e pure di nascosto dal padre - per il resto tutto in seguito filò liscio, se si escludono le sue ricadute nell'ipocondria: dal momento in cui a vent'anni fu nominato Sostituto del Maestro di Matematica nelle Regie Scuole di Artiglieria, a quando successe a Eulero a Berlino, a quando si traferì a Parigi e dopo qualche tempo sposò, a cinquantasei anni, una ventiseienne. E comuque ebbe gloria ai suoi tempi, tanto più sotto Napoleone, e diventò senatore eccetera.
Anche Stendhal aveva amato Napoleone, e - a differenza di Lagrange, che era un'opportunista - l'aveva amato davvero. E aveva amato anche la matematica (numerosi i riferimenti nell'Henry Brulard: Ma cohabitation passionnée avec les mathématiques m'a laissé un amour fou pour des bonnes définitions, sans lesquelles il n'y a que des à-peu-près). Ma non fece ugualmente una buona fine. Pochi soldi, calcoli ai reni, gotta, emicranie. E alla fine morì a cinquantanove anni d'infarto. Un piccolo trafiletto su un giornale, è morto il signor Beyle, autore della Vita di Mozart e Cimarosa. E fu tutto. E non ebbe la tomba al Panthéon a Parigi come Giuseppe Lagrangia, ma comunque sempre al Père Lachaise. Il fatto è che a quel tempo al Père Lachaise ci mettevano tutti.
sabato 20 dicembre 2014
ad modum cazzeggiandi. il talento e il successo
Il talento quando c'è è evidente, gli si potrebbe dare la forma di un'assioma, di una proposizione che non va dimostrata: ciò che va dimostrato sono i teoremi, che si costruiscono sulla base degli assiomi. Ad esempio: il talento è la facilità naturale con cui si esegue un'operazione. Questo è un fatto evidente e universale, che non necessita di dimostrazione. Ha quindi la forma di un assioma. Un primo teorema sarebbe: 1) il successo è indipendente dal talento. Questo fatto è meno evidente e va dimostrato. Date tutte le persone di successo, si prendano quelle persone il cui successo è stato costruito a tavolino (da un editore, da un agente, da un sistema di marketing potente e infiltrato, dalla stupidità umana). Di queste persone sia a il numero delle persone il cui successo è stato costruito a tavolino ma che hanno talento e b il numero delle persone il cui successo è stato costruito a tavolino ma che non hanno talento. Per definzione di talento, e considerato il gruppo b, si vede che il successo è totalmente indipendente dal talento.
A questo primo teorema ne segue un secondo. Sia c il gruppo di persone che hanno talento e che non rientrano nel gruppo a. Il secondo teorema afferma: 2) le persone che hanno talento e il cui successo non viene costruito a tavolino non avranno mai successo. Per la dimostrazione basta considerare che per definzione il gruppo c è differente dal gruppo a - le persone che hanno talento e il cui successo è costruito a tavolino - ed è differente pure dal gruppo b, nel quale rientrano tutte le persone che hanno successo senza avere talento. Se il successo fosse indipendente dalla costruzione a tavolino, allora questo contraddirebbe il primo teorema, in quanto il gruppo a non avrebbe bisogno di un successo costruito a tavolino. Di conseguenza il gruppo c è totalmente escluso dal successo.
A questo primo teorema ne segue un secondo. Sia c il gruppo di persone che hanno talento e che non rientrano nel gruppo a. Il secondo teorema afferma: 2) le persone che hanno talento e il cui successo non viene costruito a tavolino non avranno mai successo. Per la dimostrazione basta considerare che per definzione il gruppo c è differente dal gruppo a - le persone che hanno talento e il cui successo è costruito a tavolino - ed è differente pure dal gruppo b, nel quale rientrano tutte le persone che hanno successo senza avere talento. Se il successo fosse indipendente dalla costruzione a tavolino, allora questo contraddirebbe il primo teorema, in quanto il gruppo a non avrebbe bisogno di un successo costruito a tavolino. Di conseguenza il gruppo c è totalmente escluso dal successo.
martedì 11 novembre 2014
successo e arte concettuale
Difficilmente il mondo potrebbe mettersi d'accordo su ciò che meritato e ciò che non lo è: anche e sopratutto in ambito letterario. Molto dipenderà dal punto di vista e dalla fortuna, dall'incontro fortuito, oltre che dalla lungimiranza e bravura tecnica se si mira a un successo postumo. Così Eupoli - grande avversarrio del "calvo", di Aristofane - nel noto frammento dei Battezzatori, che sicuramente scrisse contro Alcibiade, coi due interlocutori che pesano con le rispettive bilance il bene e il male e che fa pensare proprio ai due commediografi alle prese con le loro perenni accuse reciproche di plagio:
Soffro l'indicibile per tutte le ninfe!
E molto giustamente per tutti i cavoli!
In realtà basterebbe poco ad ottenere celebrità: nessuno sforzo, nessuna tensione tecnica, nessun talento: servirebbe qualcuno che ci introduca nei posti giusti.
E mi ricordo una volta andai a trovare un amico che faceva il portiere in un condominio dove abitava un famoso cantante. Mi disse: "vieni, ti faccio vedere la casa". Mi fece vedere tutto: il grande salone, l'immenso pianoforte a coda, la collezione di ceramiche eccetera. Alla fine mi portò anche in camera da letto. Entrai nel bagno padronale (un comune bagno, a parte il doppio lavandino). Mi sedetti sulla tazza (ovviamente senza tirarmi giù i pantaloni) e dissi: "questa si potrebbe intitolare: successo!"
ἀνόσια πάσχω ταῦτα ναὶ μὰ τὰς Νύμφας.
πολλοῦ μὲν οὖν δίκαια ναὶ μὰ τὰς κράμβας.Soffro l'indicibile per tutte le ninfe!
E molto giustamente per tutti i cavoli!
In realtà basterebbe poco ad ottenere celebrità: nessuno sforzo, nessuna tensione tecnica, nessun talento: servirebbe qualcuno che ci introduca nei posti giusti.
E mi ricordo una volta andai a trovare un amico che faceva il portiere in un condominio dove abitava un famoso cantante. Mi disse: "vieni, ti faccio vedere la casa". Mi fece vedere tutto: il grande salone, l'immenso pianoforte a coda, la collezione di ceramiche eccetera. Alla fine mi portò anche in camera da letto. Entrai nel bagno padronale (un comune bagno, a parte il doppio lavandino). Mi sedetti sulla tazza (ovviamente senza tirarmi giù i pantaloni) e dissi: "questa si potrebbe intitolare: successo!"
lunedì 24 giugno 2013
il successo e la mediocrità
"La conseguenza è un ingrediente. Una volta si credeva che il successo di una determinata azione non fosse la conseguenza di questa azione ma un semplice ingrediente arbitrario, cioè messo da Dio. Si può concepire una confusione più grande di questa? Allora ci si doveva dar da fare su due strade diverse: per l'azione e poi per ottenere il successo, utilizzando i mezzi più disparati."
Questo (la traduzione dal tedesco è mia) lo scriveva Nietzsche in quel gran libro di frammenti sulla morale che è Aurora. Insomma, come dire che ai suoi tempi si era reintrodotto il concetto del valore di qualcosa, e che una qualsiasi azione o produzione meritoria avrebbe avuto successo indipendentemente da tutto il resto. Oggi Nietzsche sorriderebbe nel vedere come il successo di tanta odierna insulsaggine sia di nuovo l'altra faccia di un'entità schizofrenica: da una parte ci si dà da fare per produrre questa mediocrità senza pensare ancora al futuro; poi una volta ottenuta questa mediocrità si comincia a pensare a come far arrivare quel successo che si è consapevoli non verrebbe mai senza sgomitare o mettere in atto tutta una serie di pratiche che offuschino il nulla che si è prodotto.
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