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sabato 10 gennaio 2015
il plurale del plurale. gli arabi e la matematica
La ragione per cui (e lo spiego a me stesso, trattandosi dopotutto sempre un diario personale che rendo pubblico, e dove mi può capitare di inserire di tanto in tanto qualche cosetta di carattere più filogico) la ragione per cui ho abbordato nella mia vita così tante lingue - credo di averle passate al setaccio quasi tutte (da un capo all'altro del globo e da un punto all'altro della storia), alcune più studiate e approfondite di altre (ebraico, arabo, sanscrito - le lingue sacre) altre studiate fino a un certo punto (russo, danese, polacco, svedese, olandese, giapponese, ungherese, finlandese, cinese, tibetano eccetera) altre ancora comunemente usate quando leggo o chiacchiero con qualcuno (francese, tedesco, spagnolo, greco moderno), altre studiate per interessi di linguistica (accadico assiro eccetera, le lingue irochesi del Nord America, parlate un tempo dal Popolo della Grande Palude, i Guyohkohnyo, e dal Popolo delle Colline, gli Onondagega, e dagli Oneida eccetera), la ragione principale credo fosse il bisogno, la necessità (o desiderio) di uscire dal lager della mia lingua madre, e quindi il desiderio di mettermi direttamente, senza nessuna mediazione, in contatto con altri modi di osservare le cose, mettermi
martedì 23 dicembre 2014
la resa dei conti: quella parola che non conosco.
L'altra sera tornando a casa mi è successo un fatto strano. Sulla porta a vetri della guardiola del portiere c'era affisso un foglio - che non hanno ancora tolto. "In qualità", si dice su questo foglio, " di proprietario dell'appartamento interno eccetera piano eccetera, comunico che inzieranno i lavori eccetera". Sono stato davanti a quel foglio a bocca aperta almeno un minuto, a cercare di capire una certa parola, una parola mai sentita. Proprietario. Mi sono detto, che vorrà dire 'sta parola? l'italiano un po' lo conosco e non mi dice niente. E' presa da un'altra lingua? Eppure ho bazzicato si può dire quasi tutte le lingue del mondo e del passato, magari alcune approfondite, altre meno, dal persiano, al cinese, al sanscrito, all'arabo, all'ebraico, allo swaili, per non parlare dell'insieme del ceppo indoeuropeo e del blocco ugrofinnico, con qualche nozione di varie lingue del Burkina Faso: dalla lingua more (che andrebbe pronunciato mòoré - un po' come dire amore a Roma - alla lingua dioula, parlata a Bobo-Dioulasso. la linga bobo, samo, peul, bambara: insieme, ovviamente, alla matematica, le lingue sono state, si può dire, la mia unica vera grande passione, fin da piccolo, sia perché pensavo che potessero mettermi in contatto col passato (latino, greco, accadico assiro, ebraico, sanscrito ecc.) sia che mi mettessero in contatto col futuro (matematica). Possibile che proprietario appartenga a una di quelle lingue che ho studiato meno, il cinese, per esempio, o il giapponese, e che questa parola la conosca proprio uno che abita dove abito io, dove non ci sono né cinesi né giapponesi? possibile che ancora ignori una nozione magari meravigliosa?
Sono risalito a casa e non ci ho dormito tutta la notte. La mattina mi sono svegliato e niente: la parola proprietario non la conosco. Non mi dice niente. Sono stato tentato di scendere, strappare quel foglio (se non fosse che il nostro portiere è sempre così attento, preciso). Strappare il mezzo che contiene un'offesa palese alla mia esperienza. Alla fine mi sono detto, che per quanti sforzi, per quanti studi uno faccia, quante persone, quanti paesi veda, resta sempre fuori qualcosa. Non c'è niente da fare. Morale della favola, continuo a ignorare il senso di proprietario. Con un po' di giochi associativi riesco al massimo a pensare che da proprietario possa coniarsi un'espressione come proprietà privata. Ma verrebbe rigettata sicuramente dalla comunità dei parlanti. E il senso evidentemente, anche qui, mi resterebbe totalmente oscuro.
Sono risalito a casa e non ci ho dormito tutta la notte. La mattina mi sono svegliato e niente: la parola proprietario non la conosco. Non mi dice niente. Sono stato tentato di scendere, strappare quel foglio (se non fosse che il nostro portiere è sempre così attento, preciso). Strappare il mezzo che contiene un'offesa palese alla mia esperienza. Alla fine mi sono detto, che per quanti sforzi, per quanti studi uno faccia, quante persone, quanti paesi veda, resta sempre fuori qualcosa. Non c'è niente da fare. Morale della favola, continuo a ignorare il senso di proprietario. Con un po' di giochi associativi riesco al massimo a pensare che da proprietario possa coniarsi un'espressione come proprietà privata. Ma verrebbe rigettata sicuramente dalla comunità dei parlanti. E il senso evidentemente, anche qui, mi resterebbe totalmente oscuro.
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mercoledì 3 settembre 2014
i ragazzi e la linguistica
Che i ragazzi (e ragazze) di oggi non siano così
ignoranti, che anzi siano dotati nell’insieme di una mente piuttosto elastica, linguistica, pronta a
cogliere ogni minimo rapporto tra le cose, rapporti logici e sostanziali, potrebbe
indicarlo un semplice test: basterebbe chiedere a un ragazzo qualsiasi, così bravi nel rap, di
trovare una rima per Giovanna
o Susanna. E la risposta sarebbe rapida,
anzi immediata, un po’ come il morso di una vipera per poco che la disturbi.
In realtà è un cosa che avrebbero in comune con la
deterrima generazione dei sessantottini, e dei settantasettini (quelli almeno
che presto avrebbero preso il posto dei padri che contestavano). Anche lì la
battuta sarebbe stata automatica: se qualcuno avesse detto “Arianna”, un altro
avrebbe risposto: "la pippa e la canna".
Pippa che tra l’altro a Roma significa sega.
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mercoledì 23 luglio 2014
il romano e il raddoppio
autobus a Roma è auto - plurale auti:
"Con quest'auti non ci si capisce mai niente!" (signora esasperata da una lunga attesa alla fermata dell'autobus).
Uno dei pochi casi in cui il romano più che raddoppiare preferisce dimezzare.I ragazzi anzi dicono "auto" "auti" anche più dei vecchi, lo dicono in maniera globale, dai Parioli alla Borghesiana.
Ma in effetti le cose non sono cambiate molto da quando andavo a scuola io, e da come mi esprimevo io, che mi alzavo tardi e me la prendevo coi mezzi pubblici:
"Guarda te 'sto ca...o de auto stammattina!"
un ragazzo oggi direbbe la stessa cosa.
A Roma si raddoppia un po' tutto, non solo i tempi di attesa degli autobus di una città pachidermica, cioè gigantesca e lenta, ma anche le varie consonanti - penso che i romani, se potessero, raddoppierebbeo pure le vocali, cosa che d'altronde già fanno ("ma che ca...o stai a dì?" diventa "ma che caaa...o stai dìii?"
Così cannottiera invece di canottiera (è ammessa, al massimo, una doppia doppia per parola: non si potrebbe dire cannottierra), marciappiede invece di marciapiede (la "c" viene percepita doppia), cammera, stammattina eccetera.
Da non confondersi, tutto questo, col raddoppiamento fonosintattico o geminazione sintagmatica - raddoppio di una cosonante iniziale di parola se preceduta da vocale, tipica anche del toscano e di tutto il meridione. Non si potrebbe mai dire a Roma a' bona!, con una "b" appena sussurrata, quasi spirante, non fa sangue, non fa sesso: per ottenere il senso del sesso devi dire a' bbona! - che imita una comvinta forza esplosiva, d'urto, necessaria nel conflitto dei sessi, nel confitto da penetrazione (o complesso di penetrazione).
Ma bbona a Roma si direbbe comunque, anche se non ci fosse nessuna vocale davanti alla "b", e se uno è stato in astinenza forzata, prolungata, direbbe 'bbona pure a una cozza (racchia) - lo direbbe pure a una nota giornalista che ha fondato, scimmiottando gli altri, il suo inutile giornale.
A Roma si raddoppia così tanto tutto che è una vita che si parla del raddoppio del Raccordo anulare.
"Con quest'auti non ci si capisce mai niente!" (signora esasperata da una lunga attesa alla fermata dell'autobus).
Uno dei pochi casi in cui il romano più che raddoppiare preferisce dimezzare.I ragazzi anzi dicono "auto" "auti" anche più dei vecchi, lo dicono in maniera globale, dai Parioli alla Borghesiana.
Ma in effetti le cose non sono cambiate molto da quando andavo a scuola io, e da come mi esprimevo io, che mi alzavo tardi e me la prendevo coi mezzi pubblici:
"Guarda te 'sto ca...o de auto stammattina!"
un ragazzo oggi direbbe la stessa cosa.
A Roma si raddoppia un po' tutto, non solo i tempi di attesa degli autobus di una città pachidermica, cioè gigantesca e lenta, ma anche le varie consonanti - penso che i romani, se potessero, raddoppierebbeo pure le vocali, cosa che d'altronde già fanno ("ma che ca...o stai a dì?" diventa "ma che caaa...o stai dìii?"
Così cannottiera invece di canottiera (è ammessa, al massimo, una doppia doppia per parola: non si potrebbe dire cannottierra), marciappiede invece di marciapiede (la "c" viene percepita doppia), cammera, stammattina eccetera.
Da non confondersi, tutto questo, col raddoppiamento fonosintattico o geminazione sintagmatica - raddoppio di una cosonante iniziale di parola se preceduta da vocale, tipica anche del toscano e di tutto il meridione. Non si potrebbe mai dire a Roma a' bona!, con una "b" appena sussurrata, quasi spirante, non fa sangue, non fa sesso: per ottenere il senso del sesso devi dire a' bbona! - che imita una comvinta forza esplosiva, d'urto, necessaria nel conflitto dei sessi, nel confitto da penetrazione (o complesso di penetrazione).
Ma bbona a Roma si direbbe comunque, anche se non ci fosse nessuna vocale davanti alla "b", e se uno è stato in astinenza forzata, prolungata, direbbe 'bbona pure a una cozza (racchia) - lo direbbe pure a una nota giornalista che ha fondato, scimmiottando gli altri, il suo inutile giornale.
A Roma si raddoppia così tanto tutto che è una vita che si parla del raddoppio del Raccordo anulare.
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