L'essere da sempre dislessico in fondo mi ha dato un male e un bene: l'aver dovuto
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lunedì 26 gennaio 2015
martedì 23 dicembre 2014
la resa dei conti: quella parola che non conosco.
L'altra sera tornando a casa mi è successo un fatto strano. Sulla porta a vetri della guardiola del portiere c'era affisso un foglio - che non hanno ancora tolto. "In qualità", si dice su questo foglio, " di proprietario dell'appartamento interno eccetera piano eccetera, comunico che inzieranno i lavori eccetera". Sono stato davanti a quel foglio a bocca aperta almeno un minuto, a cercare di capire una certa parola, una parola mai sentita. Proprietario. Mi sono detto, che vorrà dire 'sta parola? l'italiano un po' lo conosco e non mi dice niente. E' presa da un'altra lingua? Eppure ho bazzicato si può dire quasi tutte le lingue del mondo e del passato, magari alcune approfondite, altre meno, dal persiano, al cinese, al sanscrito, all'arabo, all'ebraico, allo swaili, per non parlare dell'insieme del ceppo indoeuropeo e del blocco ugrofinnico, con qualche nozione di varie lingue del Burkina Faso: dalla lingua more (che andrebbe pronunciato mòoré - un po' come dire amore a Roma - alla lingua dioula, parlata a Bobo-Dioulasso. la linga bobo, samo, peul, bambara: insieme, ovviamente, alla matematica, le lingue sono state, si può dire, la mia unica vera grande passione, fin da piccolo, sia perché pensavo che potessero mettermi in contatto col passato (latino, greco, accadico assiro, ebraico, sanscrito ecc.) sia che mi mettessero in contatto col futuro (matematica). Possibile che proprietario appartenga a una di quelle lingue che ho studiato meno, il cinese, per esempio, o il giapponese, e che questa parola la conosca proprio uno che abita dove abito io, dove non ci sono né cinesi né giapponesi? possibile che ancora ignori una nozione magari meravigliosa?
Sono risalito a casa e non ci ho dormito tutta la notte. La mattina mi sono svegliato e niente: la parola proprietario non la conosco. Non mi dice niente. Sono stato tentato di scendere, strappare quel foglio (se non fosse che il nostro portiere è sempre così attento, preciso). Strappare il mezzo che contiene un'offesa palese alla mia esperienza. Alla fine mi sono detto, che per quanti sforzi, per quanti studi uno faccia, quante persone, quanti paesi veda, resta sempre fuori qualcosa. Non c'è niente da fare. Morale della favola, continuo a ignorare il senso di proprietario. Con un po' di giochi associativi riesco al massimo a pensare che da proprietario possa coniarsi un'espressione come proprietà privata. Ma verrebbe rigettata sicuramente dalla comunità dei parlanti. E il senso evidentemente, anche qui, mi resterebbe totalmente oscuro.
Sono risalito a casa e non ci ho dormito tutta la notte. La mattina mi sono svegliato e niente: la parola proprietario non la conosco. Non mi dice niente. Sono stato tentato di scendere, strappare quel foglio (se non fosse che il nostro portiere è sempre così attento, preciso). Strappare il mezzo che contiene un'offesa palese alla mia esperienza. Alla fine mi sono detto, che per quanti sforzi, per quanti studi uno faccia, quante persone, quanti paesi veda, resta sempre fuori qualcosa. Non c'è niente da fare. Morale della favola, continuo a ignorare il senso di proprietario. Con un po' di giochi associativi riesco al massimo a pensare che da proprietario possa coniarsi un'espressione come proprietà privata. Ma verrebbe rigettata sicuramente dalla comunità dei parlanti. E il senso evidentemente, anche qui, mi resterebbe totalmente oscuro.
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venerdì 17 ottobre 2014
Tortura, investigazione, ricerca della verità
Non c'è dubbio che la mente greca si rivela (rispetto a quella latina) speculativa perfino nelle questioni più pratiche, in quelle più estreme, nelle questioni di vita o di morte. Così avviene senz'altro a proposito della tortura: basanos, basanizesthai (torturare, ma in origine confrontare - basanos è la cosiddetta pietra lidia, la pietra con cui si testa la purezza dell'oro; e l'origine è comunque ancora semitica: l'egiziano conserva bahan, una specie di scisto usato in questo stesso senso [vedi Chantraine s.v. e vedi basalto in italiano] e anche in ebraico bahan, confermare. Il latino ha semplicemente (già in epoca classica) crucio, inizialmente mettere sulla croce, che varrà poi in seguito quale termine tecnico per tortura.
Dunque originariamente l'uomo latino è affascinato dallo strumento in sé, dall'idea di morte, e lo è già prima di avere appreso la "verità" processuale: quindi dal quadro d'insieme, dall'effetto, dallo spettacolo: si pone direttamente come spettatore, alla maniera di quanto avviene oggi in America, un paese psicologicamente rimpicciolito dagli ultimi sviluppi del caso ebola, dove il pubblico ammesso alle esecuzioni capitali assiste incuriosito al dramma dei medici che iniettano merda farmaceutica nelle braccia di un loro simile, anche se solo dopo aver appreso la "verita": un pubblico ovviamente non visto da chi è nella stanza degli orrori, protetto (per ragioni di privacy - non si sa di chi) dalla classica finestra usata anche negli interrogatori di polizia, seduto in una serie di file come se si fosse al cinema (in questo senso, la Cina - la sedicente comunista Cina - si mostra invece giustamente oscurantista e bigotta: censura ogni divertimento, fa direttamente sparire i condannati a morte, nessuno sa come dove è quando verranno giustiziati: nemmeno i familiari sanno niente, e nemmeno il condannato a morte). A differenza quindi - in un caso come nell'altro - del greco, che vuole ancora e sempre e fino alla fine semplicemente sapere, sentir parlare, conoscere, mettere alla prova, investigare (e pur sapendo che come il suo cugino latino anche lui può torturare soltanto gli schiavi, i quali poi saranno pronti a giurare il falso pur di evitare la corda o qualche altro aggeggio, con buona pace del vero): l'uomo greco insomma, nonostante le ingenuità metodologiche connesse con ogni tipo di tortura, è attante, è soggetto conoscitivo attivo anche quando delega al torturatore (basanistes - lo stesso che inquirente) che agisce per suo conto nella camera della "prova" (basanisterion) coi suoi strumenti della "conoscenza" (basanisteria).
Basanizesthai è d'altra parte ampiamente usato in senso scientifico:
διόπερ εὐλόγως βασανίζεται ταῖς πείραις τό γε τῶν ἀνδρῶν, εἰ ἄγονον, ἐν τῷ ὕδατι (Arist., De generatione animalium, 747a)
perciò giustamente viene "testato" quello maschile (lo sperma) nell'acqua, per vedere se è sterile.
E in logica:
ἀπὸ τῶν πανταχόθεν βεβασανισμένων (Philodemus, De signis, 29).
da ciò che è stato provato in ogni maniera (inferenza).
L'uso figurato di basanizesthai nella critica e nella stilistica: contorto (da torcere), rappresenta invece un totale capovolgimento di prospettiva: dove c'è tortura non può esserci né verità né persuasione: vedi ad esempio quanto detto dei primi discorsi del giovane Demostene, agli inizi della sua carriera, quando l'assemblea del popolo ancora rideva a crepapelle di una sua certa goffaggine nell'espressione:
τοῦ λόγου συγκεχύσθαι ταῖς περιόδοις καὶ βεβασανίσθαι τοῖς ἐνθυμήμασι πικρῶς ἄγαν καὶ κατακόρως δοκοῦντος (Plu., Dem., 6)
sembrando il suo periodare confuso, troppo fastidiosamente contorto (torturato) ed eccessivo per l'uso di formalismi argomentativi.
Che è poi il difetto di tutti i principianti.
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