martedì 11 giugno 2013

invidia

Più che nei versi 109-111 del primo canto dell’Inferno (o più che altrove in questa stessa cantica), una più realistica descrizione delle alterazioni psico-fisiche che l’invidia produce in un qualsiasi invidioso Dante l'ha data nel Purgatorio, e in particolare in quel passo in cui Guido del Duca con estrema precisione gli descrive ciò che ha potuto di questa affezione osservare in se stesso. È in effetti non facile dover ammettere che all'invidia sia stata riservata - è il senso di questo percorso che Dante le fa fare dall'Inferno al Purgatorio - una specifica forma di espiazione. Non sembrerebbe esistere, infatti, pena sufficientemente grande per chi si abbandona a questa bestia spirituale che modifica l’aspetto esteriore di un uomo o di una donna nel modo che tutti sappiamo:

Fu il sangue mio d'invidia sì riarso
che se veduto avesse uom farsi lieto,
visto m'avresti di livore sparso

Non vi è individuo che fin dalla più tenera età non ne faccia esperienza, se sant'Agostino nelle Confessioni dice di aver visto un bambino guardare con penoso livore un altro bambino, suo fratello; e alberga, questa invidia, più nel mondo intellettuale e degli scrittori e degli artisti che in quello dell’uomo qualunque: le università ne sono pregne e anzi proprio chi nel mondo accademico, a giudicare dalle capacità e dalla non comune qualità del suo lavoro, dovrebbe esserne immune, appare roso dall’invidia fin nel midollo, ne è plasmato nella fisionomia, modificato nel colore, come nei versi di Dante. Lo stesso dicasi di tutti quegli ambienti dove strumento professionale è la parola: giornali e televisioni prima di tutto, ma anche di quei luoghi dove la parola dovrebbe essere preghiera: comunità monastiche, diocesane ecc.

Che l'invidia sia trattata in Dante così contraddittoriamente (una volta le fa infestare l’Inferno un’altra il Purgatorio) non viene in realtà mai preso in considerazione nei tanti commenti inutili che i ragazzi nelle scuole sono costretti a leggere. Eppure questa sorta di duplice localizzazione dell'invidia era forse l'unico artificio a cui il buon Dante - che dell'invidia fu vittima - avrebbe potuto ricorrere se voleva che l'intero impianto della Divina Commedia non gli crollasse addosso: perché se l’invidia l'avesse messa soltanto nell’Inferno, non ci sarebbero stati né Purgatorio né Paradiso: avrebbe dovuto fare un unico calderone di anime in pena.   

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