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il fiducioso Émile |
Nel suo Émile ou de l’education Jean Jacques Rousseau dà una
definizione dell’amor proprio che è passata alla storia nonostante contenga un
errore argomentativo talmente manifesto che non sfuggirebbe neppure a un bambino; di sicuro non sfuggirebbe a quello stesso Émile che questo trattatello
pedagogico vorrebbe educare. Dice infatti Rousseau: “Poniamo come massima
incontestabile” (la traduzione dal francese è mia) “che i primi
movimenti della natura si svolgano in senso retto. Non vi è perversione
originale nel cuore umano: non si riuscirà a trovare un solo vizio di cui non
si possa dire come vi sia entrato. La sola passione naturale dell’essere umano
è l’amore di sé o amor proprio, preso in senso lato. Questo amor proprio
considerato in sé o relativamente a noi è buono e utile; e poiché non ha
rapporto necessario con l’altro, è in questo senso naturalmente indifferente”.
Se Rousseau si fosse davvero trovato in
presenza del suo adorato Émile, che nel quarto libro di questa operetta avendo
ormai superato l'infanzia sembra avviarsi a una più che splendida adolescenza -
o anche dell'Emilietta di cui si parla nel quinto libro, anzi di Sophie, la vera
controparte femminile di Émile - si sarebbe come minimo trovato in
imbarazzo (segno che i suoi insegnamenti filosofici sarebbero quantomeno serviti a qualcosa), si sarebbe senz'altro sentito dire, anzi domandare dal suo sempre più
metodologicamente dubitante Émile: maestro amato, come potrebbe l’amor
proprio, anche a considerarlo in sé, non avere né possedere nessun rapporto necessario con l’altro? come potrebbe questo tuo amor proprio non fare un
tutt’uno con il concetto di altro se gli uomini e le donne nascono
comunque all’interno di una precisa comunità, indipendentemente dalla sua estensione, e se
questo immediato e continuo bisogno di difendere se stessi (su cui tu fondi il tuo concetto di amor
proprio) ha senso solo se ammetti che ci si debba difendere sempre e comunque da
qualcosa – non solo da quella natura che tu consideri tanto “buona” ma anche
dall’altro da me? E inoltre, maestro, se la natura è così generosa come tu credi e sostieni, che bisogno avevi di occuparti di me? Per quale motivo non mi hai lasciato libero e felice come un alberello abbandonato a se stesso?
Insomma, se Émile avesse letto quel volumetto ideato e scritto appositamente per farne un uomo sarebbe
diventato un fautore dello scetticismo metodologico, un fanatico di
Cartesio, il peggio del peggio, mentre c'era invece da augurarsi un Émile sempre più recalcitrante e sempre più convinto, un Émile che alla fine della lettura invece di perdersi in un mare di dubbi avesse detto semplicemente: mi lasceresti maestro
leggere per una buona volta qualcosina del marchese de Sade, che adesso ha solo
vent’anni e fa correre la cavallina, o le giumente, ma che non ho dubbi tra qualche
anno, quando lo rinchiuderanno nella Bastiglia, scriverà sulla natura in maniera un po’ meno
ipocrita di quanto non continui a fare tu da quando sono nato?
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