martedì 9 luglio 2013

Gli uccelli di Aristofane e i giornali italiani




Non ho molta dimestichezza con la politica italiana e non conosco i nomi dei politici italiani, salvo quelli di due o tre più famosi leader di partito e soltanto perché se ne parla sui vari giornali on line, dove si strombazza il tutto e il più di tutto, cioè il niente. E così oggi sono entrato dopo tanto tempo in uno di questi siti di giornali cosiddetti pappagallo: quei giornali che nascono a imitazione di
testate estere già rodate e con un comodo template già pronto per l'uso, perché quando si è incapaci di idearne uno si segue la tipica moda italiana della vecchia provinciale, che si faceva arrivare il cappellino da Parigi o da New York. Che cosa ho letto oggi nella homepage di questo quotidiano? Ho letto il seguente titolo:

PDL INFURIATO -"Non ci sto, passiamo all'azione. La pitonessa Santanché suona la carica. (TUTTE LE REAZIONI IN DIRETTA).

Ora, a parte il fatto che a me non me ne importa un accidente che il pdl o il pd o sel o i grillini o un qualsiasi altro partito si sentano "infuriati", o che esiste una giornalista o una donna in politica che si chiama Santanché (e non so appunto chi sia), e che il suo soprannome è pitonessa, e che ci siano delle reazioni in diretta ai suoi deliri verbalii - neanche la mia vita dovesse dipendere dalle reazioni di questa banda di peracottari a cui il povero lettore italiano è condannato appunto dai giornali e dalle loro scelte da cabaret e omissioni (i social network -Twitter, FB eccetera - checché se ne dica dipendono, salvo pochi e fondamentali casi, dalla grande stampa e non fanno che riecheggiare a pappagallo quello che leggono sui giornali pappagallo - un uccello, tra l'altro, che a differenza di chi lo imita tanto maldestramente appartiene a una delle famiglie più intelligenti). A parte questo, ciò che più colpisce di questo giornale pappagallo di cui ho riportato solo un titolo, è la sua grafica violentemente aggressiva: utilizza, nella homepage, per le notizie principali, sempre e comunque titoli a caratteri cubitali, sensazionalistici, da strilloni appunto, attenendosi alle regole, poiché nelle cosiddette convenzioni grafiche una parola in maiuscolo significa che stai urlando: una tecnica di persuasione che in ogni parte del mondo ha sempre e soltanto voluto dire la medesima cosa: che non c’è nessun rispetto per l'ascoltatore o per il lettore e che tu in quanto ascoltatore o lettore sei degno soltanto di essere manipolato da queste urla e da questi titoloni a effetto - e lasciamo perdere adesso tutta la questione della psicologia delle masse eccetera. Malafede, insomma. Tanto più grave in questo caso in quanto questa sorta di basso procedimento retorico è avallato da direttori che si dichiarano e professano di sinistra e che dicono di combattere per un mondo più solidale e più giusto. Il che dimostra che la malafede non ha colore ideologico, anzi è strumento della più bassa ideologia.

Ci sarebbe da aggiungere che quella che quasi sicuramente è la più bella commedia di tutti i tempi – Gli uccelli di Aristofane - inizia con un dialogo tra due vecchi ateniesi che decidono di lasciare Atene perché la considerano ormai il centro del tedio: una città lacerata da passioni e vendette consumate dentro e fuori dei tribunali (e siamo ai tempi della tanto decantata Atene di Pericle, un quindici anni dopo la sua morte, in piena Guerra del Peloponneso). E si fanno guidare, in questo loro viaggio verso il paese dell’utopia, da due uccelli: un gracchio e una cornacchia, appollaiati rispettivamente sul braccio dell’uno e dell’altro. Uno dei due personaggi ovviamente fa da spalla, una figura ben conosciuta nel teatro greco, e che in questo caso ha la funzione di involgarire il dialogo e di capovolgere la pretesa serietà delle battute dell'altro. Ecco: l’Italia oggi mi appare proprio questo: una nazione splendida e volgare nello stesso tempo: che vorrebbe farsi guidare soltanto dagli uccelli, fossero pure semplici cornacchie, e vorrebbe prendere il volo e librarsi in un mondo meno “coatto” di questo imposto dalla sua stampa quotidiana, ma che però alla fine si ritrova sempre nel rettilario: a fare da mangime non per le varie pitonesse ma per i loro ingordi famelici, avidi allevatori della carta stampata o digitale, rinchiusi al sicuro nelle loro torri d’avorio con le loro belle bandiere rosse. Tanto per fare scena, scenografia.



2 commenti:

  1. Molte delle situazioni paradossali presenti nelle commedie di Aristofane appaiono, ahimé, molto più lucide e sane di tante che viviamo in questo Paese...

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  2. Hai ragione. La stavo rileggendo in questi giorni e ciò che stavolta mi colpiva è proprio quello che sottolinei tu: questa straordinaria lucidità che ti sembra di cogliere nello sguardo che porta sul suo tempo anche semplicemente con una battuta mettiamo riferita agli "extra-comunitari" di allora, questo costante bisogno di realismo che cogli in situazioni paradossali, come dici tu, e in fin dei conti in un pezzo di teatro scritto apposta per far ridere. Sarà per questo che è giunto fino a noi il povero Ari?

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