giovedì 25 settembre 2014

la nostalgia e l'inferno

Chiunque soffre di nostalgia dopo essersi volontariamente spostato da un luogo vuol dire, quasi sicuramente, che stava meglio quando non stava affatto bene. Se così non fosse non si sarebbe mai allontanato. Di nostalgia d'altronde non sembra soffrire l'usignolo della favola di Esopo, che potrebbe perfino, nel suo nuovo eremo, essere preso quale simbolo dell'antinostalgia, così come apparirebbe nella versione più ampia e più gustosa della favoletta nella collezione in coliambi di Valerio Babrio:

οἶκος δέ μοι πᾶς κἀπίμιξις ἀνθρώπων
λύπην παλαιῶν συμφορῶν ἀναξαίνει 

ogni casa e il contatto con gli uomini
mi riaccende il dolore di antiche disgrazie

Così anche nella Regola di san Benedetto, l'eremo non viene mai consigliato prima di un lungo tirocinio  nella casa comune:

provato a lungo in un monastero (sed monasterii probatione diuturna)

segno che un qualche serio problema di convivenza, nella casa comune, nella vita cenobitica, è sottinteso.

Le conseguenze sono ovvie: chi passa tutta la vita in un monastero senza avere prima o poi imparato a lasciarlo non noterà grandi differenze tra l'inizio e la fine, la situazione infernale inizale sarà la stessa che troverà alla fine: si sarà soltanto abituato, a sopportare l'inferno, ad esercitare pazienza: ma dall'inferno non si sarà mosso.

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