domenica 25 maggio 2014

scienza, capitale e l'illusione della felicità




Totò in La terra vista dalla luna


Tra il sentimento della felicità e quello del dolore esiste uno "spazio" che può essere inteso anche logicamente oltre che geograficamente e temporalmente. La scienza e la tecnologia (le due non sono in un rapporto consequenziale univoco, come sembra intendere chi pensa che vi può essere progresso tecnologico soltanto quando vi è progresso scientifico, e anzi sono state spesso proprio alcune scoperte tecnologiche "casuali", al di fuori si ogni elaborata riflessione scientifica, a correre in aiuto alla scienza galileiana, quella macroscopica) la scienza e la tecnologia si illudono di eliminare sempre più questo spazio geografico o logico tra dolore e felicità. E in parte per la verità ci riescono. Ma la più grande illusione che la scienza e la tecnologia regalano all'umanità (oggi in misura più sensibile che in passato) consiste in questa semplice convinzione:
che si assisterà per forza di cose a una sempre maggiore attenuazione del sentimento del dolore man mano che tale spazio risulterà più ridotto. In altri termini, che eliminato tale spazio, si eliminerà anche il sentimento del dolore e che non resterà che la pura felicità. Ed è il più grande inganno ideologico imbastito da un organismo non divino, non infallibile ma storico, quale è in primo luogo il discorso scientifico, dove una volta messo a nudo il re – un re da sempre già nudo, d’altronde – si svelano le sue più strette, feroci alleanze col potere e col capitale.

E’ un ragionamento quindi giusto, quello di Nietzsche in uno dei frammenti di Aurora (disapprendimento del senso dello spazio), opera tra l’altro postuma, lì dove si domanda se hanno contribuito maggiormente alla felicità umana le cose immaginarie o quelle reali. Se questo senso dello spazio tra suprema felicità e estremo dolore è il risultato di un processo immaginario (“l’aiuto delle cose immaginarie”), e se con l’intervento della scienza questo spazio risulta sempre più ridotto, non è però dato per scontato che vi sia anche un’attenuazione del dolore. Questo Nietzsche non lo dice ma mi pare implicito nella sua precisa domanda.

E a illustrare questa verità, niente mi pare più adatto del concetto di malattia, o della semplice paura della malattia. Se l’immaginazione prospetta i peggiori scenari quando ancora ci si immagina di "avere qualcosa", la scienza pare effettivamente venirle in aiuto, attraverso tutto un sistema di analisi e check up medici. In realtà la tecnologia medica, se eliminerà la spazio che una dolorosa ossessiva immaginazione aveva creato, metterà alla fine il malato (o supposto malato) davanti non più a due possibilità, come fa l’immaginazione, ma davanti a una: hai effettivamente qualcosa, oppure non hai niente. E nel primo caso la scienza è ben lontana dall’aver eliminato il sentimento del dolore, che con l’intervento della certezza, risulterà, nella maggior parte dei casi, amplificato.

Così, alla maniera di un virus che si autoriproduce, la scienza medica, per timore di perdere proseliti, tende a moltiplicare se stessa introducendo a questo punto il concetto di semplice prevenzione. L'individuo sano che si controlla e che in questo modo scongiura la malattia (prima che venga). Una spin off dell’altra illusione, un’appendice.


Vivere nell’incertezza può risultare perciò in un male peggiore, come per chi è innamorato evitare l'incontro che potrebbe rivelarsi drammatico.

Che poi la scienza si sia messa a scimmiottare l’immaginazione, e divertirsi a re-introdurre lei stessa questo spazio tra felicità e dolore, lo lascia intendere con suprema quasi impercettibile ironia (quel tipo di ironia che era comune anche a Leopardi), ancora Nietzsche al termine di questo medesimo frammento, quando dice che con la scienza abbiamo imparato a sentire piccola la terra.

Nessun commento:

Posta un commento