giovedì 2 maggio 2013

Amor ch'a nullo amato




Mi viene da pensare che (conoscendo come vanno le cose nel mondo) è sempre vero che in amor vince chi fugge, non c'è possibilità di errore. Che si tratti cioè di una di quelle leggi della psicologia umana che restano oltretutto inalterate nel tempo. Quello che invece non sappiamo è se, parlando dell'amore di Dio, nel senso di amore che si ha per Dio, valga la stessa legge. Chiunque provi questo tipo di amore dovrà aspettare, sperare: e speranza  significa in latino, come anche in greco, attesa; di sicuro al termine di una lunga attesa sarebbe non facile, non bello, dover prendere atto che chi è fuggito dal divino, così come sulla terra, ne abbia al contrario conquistato l'amore e che questa legge non solo è universale ma ci si conforma anche il creatore dell'universo. E si potrebbero far rientrare, nei discorsi sull’amore, anche le tante riflessioni, odierne o passate, sull'amor di patria: il nemo propheta in patria - questione non da poco - è un esempio di come la stessa legge dell'amore dei sensi valga anche nell’etica. Andocide, famoso personaggio dei tempi di Pericle, di qualche anno più giovane di Alcibiade, venne colpito da una serie di disgrazie civili, una dietro l’altra, con vari esili tutti documentati, e ogni volta cercò di rientrare ad Atene, provò a riconquistarsi sempre senza troppo successo l’amore della sua città.

                                          Laocoonte, copia in porcellana - foto LuciusCommons

Devo ammettere non ho mai avuto molta simpatia per questo personaggio - e forse più che per l’uomo, per ciò che ancora oggi il suo più conosciuto gesto può moralmente significare, se è ormai appurato che per salvarsi da una condanna a morte denunciò dei "presunti" colpevoli nel famoso scandalo delle erme. Dice Andocide, nella celebre orazione detta Sopra il suo ritorno, parlando agli ateniesi e tentando di dimostrare che il suo amor di patria era sincero: “mi accorsi a un certo punto che la cosa migliore per me era di restarmene lontano e comportarmi in maniera tale da farmi vedere il meno possibile”. Non gli andò bene. Gli ateniesi fiutarono la malafede, un falso nascondersi, un falso fuggire. Il fatto curioso, nel caso di Andocide, è che se pure lo vediamo nutrire speranze, “aspettative", non doveva mancargli un certo ironico senso del reale. Quel suo farsi vedere il meno possibile si sarebbe rivelato il suo più vero destino; e dopo il definitivo esilio mi pare nel 392 se ne perdono definitivamente le tracce, non si saprà più niente di lui. Così, questo essere fuggito per sempre gli è giustamente valso in seguito, in epoca alessandrina, l’amore e la stima della sua nazione se fu inserito nella lista dei dieci più importanti oratori attici, anche se venne messo all’ultimo posto.

Nessun commento:

Posta un commento