venerdì 24 maggio 2013

Land diving, Pentecost Island e lo zapping


                                      Gabbiano al Vittoriano - foto di Lance 94

Quando un inglese della classe media vuole farti capire che è al limite della sopportazione fa un gesto che per lui è normale: alza velocemente gli occhi al cielo e in un attimo te li ripunta addosso. È un semplice movimento leggermente in diagonale rispetto al normale asse visivo, in cui però la testa resta immobile, ma se non sei inglese è inutile che provi a imitarlo. Una cosa simile la fanno anche gli italiani, che però invece di riportare subito gli occhi a terra, di tuffarsi di nuovo negli occhi dell’interlocutore, continuano a fissare in alto.



Land diving (tuffarsi verso terra) è non a caso un'espressione inglese. Indica non tanto uno sport estremo quanto un rituale religioso, propiziatorio: lo stesso che poi ha dato nascita al moderno bunjee jumping. Nell’isola di Pentecoste, nello Repubblica di Vanuatu (gruppo di isole chiamate ancora Nuove Ebridi quando ebbi la fortuna di vederle da piccolo), a quasi duemila chilometri dalla costa australiana nell'Oceano Pacifico, gli uomini ancora oggi si abbandonano a questo affascinante rito, che in lingua locale si chiama mi pare nagol, o forse ngol: dopo avere assicurato le caviglie a una liana e sotto lo sguardo di centinaia di turisti si lanciano in un certo periodo dell’anno da un'alta torre fatta di rami tutti intrecciati, le punte acuminate: una cosa impressionante per come la rivedo – o forse era solo lo sguardo di un bambino. Veniva un tempo in questo modo eletto il capo tribù: colui che riusciva a saltare dal punto più alto - e le torri raggiungevano anche i trenta metri. Ovviamente rischiavi di crepare, di rimanere infilzato.



Oggi il bunjee jumping è uno sport relativamente sicuro. Lo fanno un po’ dappertutto e forse non c'è nessuno che non l'abbia ancora visto. Vedendo il bunjee jumping versione moderna per la prima volta a Londra, un pomeriggio che camminavo verso Chelsea Bridge Road in direzione del ponte e dell'imponente struttura costruita per questo genere di tuffi legati a un cavo, mi rivenne da pensare all’isola di Pentecoste, e alle cose che da piccolo cercarono di farmi intendere di quel rito propiziatorio. E facendo un confronto, guardando questi uomini e donne completamente imbracati, pieni di ganci, moschettoni, cinture di sicurezza e confortati da premurosi istruttori, è difficile non rendersi conto di come l'umanità abbia fatto notevoli passi avanti, sperimentato uno sviluppo veramente galattico sul piano sociale e psico-evolutivo se si considera che si è passati dallo scegliere un capo tribù utilizzando arcaici criteri religioso-agonistici all'individuazione della semplice bravura in uno qualsiasi di questi sport estremi in cui si è circondati da tutto un corteggio di paramedici e ambulanze. Inoltre, se il capo tribù si trovava allora in un certo senso soffocato e rintronato per giorni dall'ammirazione collettiva della sua gente, il nostro campione la sera tornato casa si trova in compagnia delle rassicuranti pareti domestiche, dei suoi mobili più o meno di fabbrica, del pc e della televisone, oltre che del necessario cellulare: e se si tratta di una donna è immeditamante presa da tante altre cure e responsabilità (normalmente in cucina a preparare la cena), se invece è un uomo, la prima cosa che fa è spogliarsi e buttarsi sul divano, allungare le gambe sul tavolino in modo da poter subito iniziare a muovere le dita dei piedi e a scaricare la tensione accumulata nella competizione. Poi, col telecomando in mano (questa sorta di scettro), comincia a fare zapping, a passare da un canale all’altro fino a ritrovarsi magicamente a quello di partenza. Insomma il campione, pur dando l’impressione, a differenza della campionessa, di volersi fermare, non smette mai in realtà neppure lui di tenere occupati la mente e il corpo.


Tutto ovviamente dipende dai punti di vista, e quelli di una donna non coincideranno mai alla fine con quelli di un uomo, checché ne dicano i nemici della generalizzazione. Così una mia amica - che pure è una buona velista - mi dice che ogni volta che il marito torna a casa stanco da una partita di calcetto e si sdraia sul divano davanti alla televisione, lei immancabilmente, da un po' di anni a questa parte, non fa che ripetergli la stessa cosa: "te lo dico una volta per tutte: mi so' stufata di trovarmi tutte le sere questa salma davanti!"

Nessun commento:

Posta un commento