Il genio può facilmente
riconoscere il genio anche se, come tutti, non lo capisce. E questo appararire umano del genio, che riconosce l’altro
genio senza comprenderlo, fa brillare ancora di più la sua natura extra umana: il "dio" che si fa uomo, che dà giudizi come un qualsiasi altro uomo. Che è poi quanto succede a Wittgenstein, che nei suoi diari, all’entrata
del 24 novembre 1914, annota di aver ricevuto un libro di poesie di Trackl, il poeta espressionista austriaco, da poco, quasi trentenne, chiamato in cielo:
"Ficker sandte mir die Gedichte des armen Trakl, die ich für
genial halte, ohne sie zu verstehen. Sie taten mir wohl.
(Ficker mi ha inviato le poesie del povero Trackl, che considero geniali, anche se non le capisco. Mi hanno fatto bene).
E anche
altrove, nella lettera di ringraziamento a von Ficker di qualche giorno dopo (28.11.1914), Wittgenstein insiste su ciò che dovrebbe essere questo qualcosa in cui si riconosce il genio:
la possibilità (almeno pare di capire) che la sua azione nel mondo risulti benefica senza che se ne comprenda il meccanismo (un po’ alla stregua di un’erba officinale più che di un farmaco di una multinazionale, i cui meccanismi di
aggressione del corpo umano e del corpo delle povere cavie da laboratorio sono invece ben conosciuti e descritti quantitativamente, misurati dalla chimica e dalla biologia) :
“Ich verstehe sie nicht; aber ihr Ton beglückt mich. Es ist der Ton der
wahrhaft genialen Menschen”:
(Non le capisco ma il loro tono mi
rende felice. E’ il tono dei veri geni).
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