venerdì 27 giugno 2014

L'inno di Mameli e i cori delle nazioni allo stadio



Non si capisce cosa volevano fare: se ci credevano veramente, magari dopo essersi osservati dall’esterno un po' prima prima di partire per il Brasile, o se invece prima di partire non abbiano semplicemente controllato un'ultima volta il conto in banca e stretto ulteriormente le chiappe, come farebbe chiunque controlli – Dante permettendo – il gruzzoletto costruito sul nulla. La ragione di tanta sconcertante sicumera è la stessa che è dietro le dinamiche di certi fantasiosi scalzacani, i quali non si accontentano di mettere insieme un’accozzaglia di frasi senza senso convinti di comporre una storia grandiosa, hanno pure la pretesa di voler passare per talenti o di oscurare i veri talenti, la pretesa di aver scritto finalmente "il più bel romanzo del mondo": e ce ne sono tanti quanti sono quelli che scrivono.

Balotelli – per dire quanto gliene fregava di piazzarsi al turno successivo – è tornato coi capelli biondi e può darsi che il suo ideale adesso sia la Svezia. Chiellini, per un semplice mozzico sulla spalla girava istericamente in campo come quel personaggio di cui parla lo studente di retorica del Satyricon, a mostrare al pubblico le ferite. Se l’Urugay è abituato a vincere barando (e nemmeno barando, perché il trucco uruguayano è ormai talmente evidente che è già istituzionalizzato - e basterebbe riandare alla partita col Ghana del 2010, al modo in cui i belli, entusiasti solari ghanesi vengono eliminati perché lo stesso cannibale uruguayano che adesso mozzica il braccio a Chiellini, all'ultimo minuto blocca con le mani un pallone che sta già entrando in porta) se l’Uruguay è abituato a vincere barando, i cosiddetti undici azzurri, che io chiamerei a questo punto verdi (e non tanto per il colore dei soldi ma per quello della strizza) hanno perso non onestamente, giocando o lottando e cedendo di fronte al più forte, ma, come è tipico degli italiani, scommettendo. E la scommessa, siccome hanno puntato su se stessi, cioè sul peggiore, è stata automaticamente persa.

Infine, per dirla tutta, non me ne importa un fico secco delle distinzioni nazionalistiche. E forse, bisognerebbe andarci anche cauti a dirsi patrioti, e andrebbe valutato attentamente il paradossale detto del Dottor Johnson, giudizio pronunciato nel 1775, che cioè il patriottismo non sarebbe altro che l'ultimo rifugio delle canaglie.

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