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Rafael Nadal - photo www.rafaelnadal.com |
Vedere lo spagnolo Rafael Nadal, vera leggenda tennistica,
dotato di un atletismo che lascia letteralmente di stucco, che emoziona come pochissimi giganti del tennis nella
sua straordinaria e inarrestabile fisicità, nei suoi improbabili salti da una
zona all’altra del campo catturati nell’attimo della loro totale fissità, trionfatore per la
nona volta al Roland Garros, vederlo eseguire ogni volta che è alla battuta - e
prima che lanci la palla in aria - lo stesso “gesto apotropaico composto”
(toccarsi l’orecchio sinistro poi il naso poi l’orecchio destro poi ancora il
naso) oppure andarsene immancabilmente negli spogliatoi tra un set e l’altro, oppure dare due morsi
alla stessa banana tra un gioco e
l’altro, tutto per scaramanzia, per paura che le cose non vadano esattamente nel verso
giusto, vedere tutto questo, oltre che togliermi qualcosa di quella innegabile emozione che in un primo tempo registro, oltre che infastidire il me
spettatore, quasi che il pubblico debba essere grato a quei suoi gesti più che alla bravura, può dare
un’idea abbastanza buona di come il grande talento si nutra essenzialmente di
nevrosi.
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Novak Djocovic |
Djocovic, altro grande campione, il suo antagonista serbo nella
finale al Roland Garros, appariva al contrario, un vero maschio, un vero guerriero: il volto immobile, lo sguardo, i gesti sempre controllatissimi – salvo quando lancia, in un caso, rabbiosamente, violentemente la
racchetta per terra dopo un errore e la fa a pezzi. E tuttavia, Djocovic non
emoziona come Rafael Nadal.
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