lunedì 9 giugno 2014

Talento nello sport. Il maschio e la superstizione




Rafael Nadal - photo www.rafaelnadal.com


Vedere lo spagnolo Rafael Nadal, vera leggenda tennistica, dotato di un atletismo che lascia letteralmente di stucco, che emoziona come pochissimi giganti del tennis nella sua straordinaria e inarrestabile fisicità, nei suoi improbabili salti da una zona all’altra del campo catturati nell’attimo della loro totale fissità, trionfatore per la nona volta al Roland Garros, vederlo eseguire ogni volta che è alla battuta - e prima che lanci la palla in aria - lo stesso “gesto apotropaico composto” (toccarsi l’orecchio sinistro poi il naso poi l’orecchio destro poi ancora il naso) oppure andarsene immancabilmente negli spogliatoi tra un set e l’altro, oppure dare due morsi alla stessa banana tra un gioco e l’altro,  tutto per scaramanzia, per paura che le cose non vadano esattamente nel verso giusto, vedere tutto questo, oltre che togliermi qualcosa di quella innegabile emozione che in un primo tempo registro, oltre che infastidire il me spettatore, quasi che il pubblico debba essere grato a quei suoi gesti più che alla bravura, può dare un’idea abbastanza buona di come il grande talento si nutra essenzialmente di nevrosi.

Novak Djocovic


Djocovic, altro grande campione, il suo antagonista serbo nella finale al Roland Garros, appariva al contrario, un vero maschio, un vero guerriero: il volto immobile, lo sguardo, i gesti sempre controllatissimi – salvo quando lancia, in un caso, rabbiosamente, violentemente la racchetta per terra dopo un errore e la fa a pezzi. E tuttavia, Djocovic non emoziona come Rafael Nadal.

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