dissipabo et assorbebo
parole poste in bocca a Dio da Isaia nell'Inno della vittoria (42:14), rese così giustamente, e conservando tutta l'ambiguità dell'ebraico, da san Girolamo, il quale se ne fotte ampiamente del fatto che si è appena parlato di una partoriente (l'immagine a cui appunto è assimilato il Dio guerriero) - le urla della partoriente (כיולדה אפעה - urlerò come una partoriente) - e che tutte le traduzioni moderne (si eccettua la Bibbia inglese di re Giacomo) invece hanno stupidamente forzato, seguendo l'ebraico alla lettera, a intendere (dopo le urla) ciò che può adattarsi ancora a una partoriente (gemerò e mi affannerò), e che in realtà non può più essere se lo si riferisce a Dio. E' difficile che tale immagine (gemere e affannarsi) vada d'accordo col Dio guerriero di questo passo di Isaia, un Dio che al massimò urlerà, come la partoriente, ma poi i lamenti e gli affanni dovranno trasformarsi necessariamente in qualcos'altro.
E' questo un tipico esempio di modulazione nella narrazione:
... urlerò come una partoriente
e disperderò [farò a pezzi] (non gemerò) e ingoierò (non mi affannerò ...
Insomma della partoriente si prenderà il momento della "furia", di cui il gemere e l'affannarsi sono semplicemento un complemento che sparisce di fronte alla visione maestosa di un Dio Guerriero che tutto polverizza e ingoia. D'altronde l'ebraico - come doveva giustamente aver compreso san Girolamo - conserva nei due verbi (sha'aph e nasham) tutta l'ambiguità possibile e immaginabile.
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