lunedì 16 marzo 2015

i romanzieri senza romanzo

Librum Iob quidam Moysen scripsisse arbitrantur, alii unum ex prophetis, nonnulli vero eundem Iob post plagam suae passionis scriptorem fuisse existimant, arbitrantes ut, qui certamina spiritalis pugnae sustinuit, ipse narraret quas victorias expedivit (Isid., Etimologiarum, vi, 2).

Il problema posto da Isidoro, in questo passo del sesto libro delle Etimologie, è in fondo molto semplice: se una qualsiasi storia possa essere narrata da chicchessia o se invece saprà farlo soltanto chi l'ha vissuta in prima persona. Ma è un problema di lana caprina. E' infatti vero che per quanti personaggi un autore metta in scena non riuscirà mai a fare niente di sensato se non sarà riuscito a immedesimarsi via via in ognuna delle sue creature: se cioè non abbia sentito la storia nella propria carne e non abbia vissuto all'interno dei suoi romanzi già prima di metterli sulla carta. In mancanza di questo farà soltanto opera didascalica, descrittiva (behaviouristica, comportamentistica). Sarà bravo al massimo a descrivere i movimenti, a rendere qualche spezzone di dialogo. Tanto vale servirsi di un regisrtatore (non ovviamente quello di Gadda, che non era affatto un registratore, anche se alcune delle sue insuperabili meraviglie - L'Adalgisa, ad esempio - sembrano frutto di registrazioni). Che è la ragione per cui i grandi scrittori in ogni tempo si sono sempre contati sulle dita di una mano. Tutto il resto è mondezza. Si avrà soltanto l'illusione di "appartenere" senza appartenere a un cazzo.

Vedi su questo anche ciò che diceva Simenon, che un po' prima di iniziare uno dei suoi romanzi cominciava ad avere tutti i tic dei vari personaggi: dal cardiopatico, allo sciancato, alla prostituta, alla portinaia eccetera


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