domenica 22 febbraio 2015

ancora sugli apologeti e sulla malafede di ogni ideologia

Discutendo il senso letterale della frase d'attacco del Libro di Giobbe, Gregorio Magno nei suoi Moralia dice, riecheggiando le parole di Cristo (se amate quelli che vi amano che merito ne avete?):

neque enim valde laudabile est bonum esse com bonis sed bunum esse cum malis.

Il che è giusto, e non si potrebbe esprimere con migliore arte compositiva. Ma ci si sarebbe poi aspetttati che venendo a considerare la questione dal punto di vista dei cattivi aggiungesse:


sicut enim eiusdem virtutis est inter bonos bonum non esse.

Ma non lo dice. Lo si cercherebe invano: nell'intera opera di Gregorio così come in tutta l'apologetica cristiana. In effetti Gregorio aggiunge semplicemente:

sicut enim gravioris culpae est inter bonos bonum non esse.

Lo stesso che avrebbe fatto più di mille anni dopo, in epoca di rinnovati furori ideologici, l'antigiansenista gesuita la Colombière, nelle sue Riflessioni cristiane, dove parla dello "stato religioso":

il faut une vertue toute extraordinaire et un miracle de la grace pour être bon parmi les méchans, mais pour être méchans au milieu des bons, c'est un abbandonnement de Dieu tout  v i s i b l e, il faut être un demon etc.

che veniva tradotto, all'inizio del Settecento, anche in italiano, da un religioso che diceva di aver iniziato a tradurre per diletto:


è d'uopo d'una virtù tutta straordinaria, e d'un miracolo della grazia, per essere buono tra' cattivi, ma per essere cattivo in mezzo a' buoni bisogna che uno sia manifestamente abbandonato da Dio, bisogna essere un demonio etc.

che non è altro che la posizione della morale ancora oggi, mutuata dall'esperienza. L'essere cattivo in mezzo a tanti buoni non può avere lo stesso valore dell'essere buono in mezzo a tanti cattivi (in un passo del Contra epistolam Parmeniani, Agostino, commentando un brano di Isaia capovolge questa posizione - e si sa quanti grattacapi ha dato Agostino alla Chiesa -; si legge che i cattivi in mezzo ai buoni non nuocerebbero affatto ai buoni, come la paglia non nuoce al grano, perché poi arriverà comunque il padrone del campo eccetera). E tuttavia questo di Gregorio e degli apologisti che l'hanno preceduto e seguito su questa questione dei buoni e dei cattivi è un tipico esempio della manipolazione ideologica che sfrutta finché fa comodo il formalismo del linguaggio. Da un lato si dà alla struttura formale del linguaggio valore di verità, dall'altra la si esclude a seconda degli obbiettivi ideologici. Dire cioè dal punto di vista degli apologeti che il cattivo che convive in mezzo a tanti buoni non ha valore di "vero", sarebbe sbagliato, la frase sarebbe sbagliata. Il che è manifestamente falso.

Così la bestia nera di tutti gli apologeti è e resterà sempre questa malafede, questa commistione tra formale e empirico: l'impossibilità di portare fino alle estreme conseguenze formali l'empirico (nessun dubbio che sul piano empirico, un organo malato in mezzo agli altri sani è un male, se si ha di mira la conservazione della vita, del capitale, di un accumulo in generale, ma questo non ha niente a che fare con la giustezza formale di una proposizione).


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