domenica 12 ottobre 2014

L'inferno della continuità

La continuità (così come il dettaglio) nuoce alla narrazione. Risulterebbe noioso e, oltre alle sorprese, toglierebbe al lettore (come una parete interminabile e senza porte) la possibilità di infilarci o anticipare qualcosa di suo, salvo ovviamente dover poi fare i conti con ciò che effettivamente sarà. Ma è il narratore il dominus:

ἔνθα τοι οὐκέτ' ἔπειτα διηνεκέως ἀγορεύσω,
ὁπποτέρῃ δή τοι ὁδὸς ἔσσεται (M, 56-57)

così Circe a Ulisse circa la strada che dovrà prendere una volta passato il luogo delle sirene.

διηνεκέως continuamente,  senza soluzione di continuità: vedi l’italiano dall’inizio alla fine

La continuità (o persistenza) è d’altronde un mito e un’illusione della percezione, la ragione per cui l’individuo, guardandosi allo specchio, continua a vedersi sempre uguale a tutte le età. Ma senza la rottura di questo mito della continuità non sarebbe possibile nessun romanzo: le psicologie dei personaggi resterebbero immobili dall’inizio alla fine, poca cosa per una storia che si svolga nell’arco di poche settimane ma insostenibile a lungo termine. Ancora, ovviamente, il panta rei di Eraclito.

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