martedì 21 ottobre 2014

Il bastone di Polifemo. Splendori e miserie della filologia





“An editor of Lucilius or Ennius or Nonius or the reliquiae scaenicae, unless is grieviously self-deluded, must know that the greater number of his corrections, and of his explanations also, are false” (A.E. Housman , The Classical Quarterly, 1, 1907, p. 53).

Lo stesso potrebbe dirsi di qualsiasi editore di testi antichi, non solo di Lucilio, Ennio o Nonio. Anzi a quanto scritto da Housman si potrebbe aggiungere che poiché gli apparati delle edizioni critiche sono pieni di congetture, se pure tra le tante congetture si sospetta che almeno una sia corretta non è detto invece che non siano tutte sbagliate.

Housman, in questo gustoso antico articolo dedicato (si potrebbe dire) agli splendori e alle miserie della filologia luciliana, proponeva un semplice test. Il grosso dei frammenti di Lucilio si conosce grazie a Nonio. Dice più o meno Housman: si prendano semplicemente le citazioni trovate in Nonio di un qualsiasi autore la cui opera è conservata e ben conosciuta altrimenti, si provi a spiegarle o emendarle, e si confrontino poi i risultati con il testo conosciuto. E proponeva lui stesso, su due piedi, un primo esempio, una citazione di Lucrezio.

Si tratta in realtà di un esperimento che se pure stuzzicasse oggi la fantasia di un qualsiasi editore critico dotato di un minimo di spirito ludico resta di non facile attuazione. In primo luogo se anche l’editore fosse interessato non tanto alla carriera universitaria, come è quasi sempre il caso, quanto a porsi onestamente alla prova, è possibile che dell'autore scelto per l'esperimento abbia delle reminiscenze tali da falsare in partenza ogni risultato; in secondo luogo il testo di confronto potrebbe a sua volta essere un guazzabuglio di ipotesi, essere il frutto di errati emendamenti (ogni nuova edizione non fa, il più delle volte, che poggiarsi su una precedente edizione della quale conserva e propaga gli errori): un testo ricostruito cioè o sulla base di una tradizione manoscritta già corrotta o comunque indiretta, o su innumerevoli quantità di trascrizioni sbagliate comunicate da altri studiosi, di interpretazioni fasulle, o sulla base di errori propriamente materiali (sviste eccetera) in fase di recensio e collatio, per non parlare infine di possibili falsi (H. D. Jocelyne arrivava a descrivere di un frammento attribuito a Lucilio il meccanismo di falsificazione - Riflessioni su due nuovi frammenti ecc., in Homo sapiens, homo humanus, II. Atti del XXIX  convegno internazionale del Centro di Studi Umanistici, 1987).

Rimane il fatto che l’assunto di Housman rappresenterebbe ancora oggi un buon punto di partenza. E la prova migliore – se pure non si voglia ricorrere al buon senso - dell'assoluta mancanza di concretezza di tante congetture che da sempre circolano in filologia è il fatto che uno stesso apparato critico continua a ridondare di ipotesi e varianti (e svarianti e svarioni) e suggerimenti. E siccome è difficile, come detto, che queste ipotesi o varianti siano tutte vere, se pure ce n’è una esatta le altre sono comunque sbagliate. E sono, appunto, nei singoli casi, una caterva.

Quanto detto non toglie che vi siano state nella storia della filologia intuizioni veramente gloriose, confermate in seguito da frustuli di papiro, epigrafi, e persino da mosaici di epoche di cui si può pensare che la tradizione sia più giustificabile di quanto non lo sarebbe stata quella posteriore.

Un interessante esempio di intuito e intelligenza, e forse anche di genio filologico, lo propone lo stesso Housman, in questo primo dei suoi Luciliana, dove di Lucilio cita, tolti da Nonio, i due versi sul bastone di Polifemo:

maius bacillum/ quam malus navis in corbita maximus ulla

un bastone più grande di un albero “di nave” maestro, in un qualsiasi mercantile

Il genitivo navis è nei manoscritti. Il dramma è che, metricamente, il genitivo qui crea un qualche problema, e per poter funzionare dovrebbe suonare monosillabico (esiste almeno un esempio in Plauto). Ma già Dousa (seguito poi da Lachmann e da Baehrens) suggeriva l’ablativo navi – e leggeva:

maius bacillum/ quam malus navi in corbita maximus ulla

un bastone più grande di un albero maestro in una qualsiasi nave mercantile

vedeva cioè in corbita un semplice aggettivo: una nave, in effetti, "corvata" (che un corvo di legno venisse posto in cima all’albero maestro sembrerebbe un fatto curioso se questo uccello risulterà sempre in qualche modo legato all’idea specifica del malaugurio, e se così era anche in origine, e nel mondo nautico, allora era la malasorte che si augurava alle imbarcazioni nemiche - e vedi anche l’italiano corvetta ai giorni nostri per nave da guerra la cui etimologia sembra incerta ma è possibile che attraverso vari passaggi, da una lingua all’altra, compreso l’olandese, si risalga proprio al latino corbita).

Müller, nella sua edizione del 1888, difese la vulgata; ma appena qualche anno dopo, la scoperta di un mosaico a Althiburos in Tunisia, in cui  è raffigurata una di queste corbite, parve dare ragione a Dousa e al suo ablativo: veniva citato nel mosaico il verso di Lucilio:

quam malus “navi” e corbita maximus ullast

dell’albero maestro proveniente da una qualsiasi nave mercantile

Chi commissionò il mosaico citava forse a memoria?  leggeva un testo che conteneva già l’intervento di un qualche copista, la correzione di un originario uso monosillabico di navis? cosa in realtà non proprio campata in aria se anche Plauto, contemporaneo di Lucilio, se ne serve. E tuttavia ci sarebbe qui da chiamare di nuovo in causa il criterio principe della critica testuale, della lectio difficilior, che non sarebbe mai fuori luogo ricordare sempre e continuamente a ogni studente di filologia alle prime armi: di due manoscritti che presentano una lezione differente, la parola meno banale o il giro di frase stilisticamente più complesso sono quelli giusti. Un criterio fondato in effetti sulla logica, difficilmente attaccabile anche nel nostro caso, a patto però che si dimostri che chi avesse eventualmente commesso l’errore di trasformare in navis un originario navi fosse un copista ignorante, oppure che il suo intervento fosse non un colpo di ignoranza ma di banalità.
(Londra, novembre 2001)

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