La differenza tra i modi della libera religiosità pagana e quelli del più vincolante mondo cristiano potrebbe essere avvertita nel semplice accostamento di due testi
lontanissimi nel tempo (ma si potrebbe prendere anche un testo cristiano dell'antichità, una lettera di san Paolo), uno francese e l’altro latino, in entrambi i casi viene usato uno stesso verbo (abiiciere/abjecter):
Or en Jesus nul
au vray ne se fie,
sinon celui qui
sous son bras puissant
en tous endroits
s’abjecte et humilie (Clément Marot, Opusc., I)
Adesso nessuno ha fede in Gesù
se non colui che sotto il suo braccio potente
in ogni luogo si abbassa e umilia
e
Sic te ipse
abiicies atque prosternes ut nihil inter te atque quadrupedem aliquem putes
interesse? (Cic., Paradoxa stoicorum, 14)
E ti abbasserai e prosternerai a tal punto da mostrare che tra te un quadrupede non vi è nessuna differenza?
Entrambi gli esempi riportati nell’Archeologie française del Pougens, un testo tra l’altro ampiamente
rastrellato da Leopardi, che lo cita spesso nello Ziba.
I versi da vaudeville del buon Marot, del libertino Marot, soltanto apparentemente inconcludenti e
tautologici, indicano in effetti (è un po' il senso del loro sottilissimo e quasi invisibile sarcasmo - non aveva altri strumenti per non finire come De Sade sempre e nuovamente in galera), che il gesto religioso deve avere per alcuni lo stesso
valore dell’abito religioso: un valore di continua testimonianza: un gesto di apparente umiltà, di vicinanza alla terra, quindi in effetti non per restarci (vedi quanto ho scritto nell'Inganno dell'ascesi e dell'invocazione delle sacerdotesse di Dodona).
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