τοὺς δὲ πατὴρ Τιτῆνας ἐπίκλησιν καλέεσκε
παῖδας νεικείων μέγας Οὐρανός,
οὓς
τέκεν αὐτός·
φάσκε
δὲ
τιταίνοντας ἀτασθαλίῃ μέγα ῥέξαι
ἔργον, τοῖο δ' ἔπειτα τίσιν
μετόπισθεν ἔσεσθαι. (Hes., Th. 207-210)
Si tende a dare, in questo passo di Esiodo, a τιταίνοντας il senso di tendere le braccia (verso i genitali di Urano) e si dice che per
questa ragione il padre avrebbe finito per chiamarli (i Titani) in questo modo.
Il che presuppone che il gioco etimologico vada dal verbo al nome (poiché hanno
fatto una certa azione sono stati chiamati così). Unica voce in disaccordo, e mi
pare non senza ragione, è quella di Y. Duhoux, “Les caractères des Titans ...”
(Recherches de Philologie et de Linguistique, I, (1967), pp. 35-46), che parlava con molta più ragionevolezza del percorso inverso: del procedimento dell’adnominatio, nel creare da un nome (nel definirlo) un verbo omofonico. In questo senso, Urano, dopo aver avuto i Titani da Gaia, avrebbe
detto che si sarebbero meritati la pena eccetera a causa appunto del loro titaneggiare. Il che presuppone anche che
l’ascoltatore di Esiodo fosse in grado di fare le dovute
associazioni. D’altra parte i Titani dovevano essere visti per forza - dal momento che gigantesco era il padre (μέγας Οὐρανός) - come essere
giganteschi, e titaneggiare verrebbe a significare perciò ingigantirsi (anche
moralmente), rendersi quindi colpevoli presuntuosamente e scioccamente (ἀτασθαλίῃ) di ὕβρις, di violenza.
(Edimburgo, 2010)
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