martedì 21 ottobre 2014

La vedova e il marito vivo. Un motivo in Lucano.

Alcuni semplici versi di Lucano hanno creato non pochi problemi in vecchi studiosi della sua opera e continuano a crearne in nuovi. Si tratta del passo in cui Pompeo rimprovera sua moglie Cornelia che piange sulla spiaggia di Lesbo dopo la disfatta di Farsalo:

... tu nulla tulisti
bello damna meo: vivit post proelia Magnus
sed fortuna perit: quod defles, illud amasti.

... tu non hai subito alcun
danno dalla mia guerra: dopo essersi battuto, questo “grande” continua a vivere
anche se la fortuna è morta: ciò che piangi è ciò che si è amato.

Vennero ritenuti questi versi “vergognosi” (abominable) da Haitland nella sua introduzione all’edizione di Haskin. In un suo articolo nel Classical Quarterly (On some Passages in Lucan VIII, I, 1907, p. 75) J.J. Postgate  ritiene la parole di Haitland eccessive anche se poi finisce per sposarne lui stesso la causa (“For the crude brutality of the statement  in the last four words there is however no excuse”). E suggerisce, per attenuare questa supposta "brutalità" di intervenire sulla punteggiatura e di inserire un punto interrogativo alla fine: quod defles illud amasti? e il senso, secondo Postgate, dovrebbe essere, mi pare:

forse non ci sono già più, che piangi? sono forse già morto?

 L’interpretazione del perfetto secondo l’uso tipico del sistema indoeuropeo (stato dedotto dall'azione), di azione cioè vista come conclusa nel passato ma con conseguenze nel presente, amasti per non ami più (vixerunt per sono morti in Cicerone) è accettabile, ciò che invece è superfluo è l’intervento sulla punteggiatura, non necessario. Ciò che piangi (ciò che si piange), dice semplicemente Pompeo, è ciò che hai amato (ciò che si è amato, e che quindi non c’è più). In altri termini: una moglie piange il marito quando è morto. I versi che immediatamente precedono indicano d'altronde che questa linea di interpretazione è quella giusta, lì dove Pompeo dice a sua moglie che piangere il proprio marito deve essere l’ultima cosa a cui affidarsi, l’ultimo credo:

... ultima debet

esse fides lugere virum ...

(Londra, 2001)

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