martedì 16 aprile 2013

I lucchetti dell’amore e gli obblighi del romanziere


                                              Uffizi - Piero della Francesca, I duchi di Urbino

Il nodo è uno di quei concetti più facilmente comprensibili, eppure è uno di quelli più legati alla possibilità di un’aporia, di un imbarazzo, dell'inestricabile, dell’indissolubile. Un nodo, in effetti, potrebbe veramente non potersi sciogliere più. In questi casi si usa forse ancora oggi uno dei metodi di cui si sarebbe servito Alessandro, quando si trovò davanti al più famoso nodo dell’antichità, il nodo di Gordio. Ci sono due versioni di come sarebbe riuscito a venirne a capo. Secondo la prima, un impaziente Alessandro avrebbe usato la spada e l’avrebbe semplicemente fatto a pezzi, secondo la seconda, quella di Aristobulo – entrambe riportate da Arriano e altri – si sarebbe limitato a smontare il giogo dal carro conservando intatto il nodo: togliendo il chiodo che teneva fisso il timone dell’aratro e lasciando quindi il problema insoluto.

Del nodo di Gordio si diceva che non si vedevano i due capi (oute telos oute arche ephaineto, dice il greco di Arriano: letteralmente non appariva né la fine né il principio), che è come dire che non si capiva neppure se era un nodo. Ma al di là di scherzi e congetture, il nodo resta quello che è: un simbolo di unione, anche e soprattutto amorosa; e più recentemente è stato scalzato, da questa sua millenaria funzione, dagli orribili lucchetti di un altrettanto orribile romanzo.

                                              nodo di Salomone

Questi lucchetti dell’amore, a chi ha avuto la sfortuna di vederli appesi a centinaia attorno ai lampioni di Ponte Milvio a Roma, è difficile che non ricordino delle disgustose escrescenze della pelle. È piuttosto curioso che proprio a queste ferrose escrescenze da film horror sia stata affidata la rappresentazione di uno dei sentimenti più impalpabili, incomprensibili, dolorosi e meravigliosi nello stesso tempo. È vero che il grande Stendhal parla dell'amore come di una forma di cristallizzazione, e che un po’ di brividi li fa venire anche lui: ma i suoi cristalli difficilmente farebbero pensare a una malattia, una corsa all’IDI a farti vedere da un bravo dermatologo: al massimo corri a venderti i brillanti di nonna, se non ti bastano i soldi per l’affitto. D’altra parte, il lucchetto richiama anche la cintura di castità, che è forse la ragione per cui è stato preso a simbolo dell'amore nel XXI secolo. In questa scelta del lucchetto l'autore si sarà sentito in un certo senso obbligato: voglio dire, con quei personaggi non proprio memorabili che ha messo in scena non è che avesse troppe alternative - a parte il fatto che quando il sindaco ha ordinato la rimozione di quei quintali di robaccia, per ragioni strutturali, di tenuta del ponte, pure lui ha fatto tuoni e fulmini, segno che magari un po’ troppo sul serio s'era preso. Che è un errore fatale per un romanziere: riveli che non sei capace di distinguere, di prendere le distanze tra te e le tue creature, e che anche quando scrivi, riversi la tua ideologia.

Continuo ogni tanto a pensare che un ottimo sostituto del lucchetto, nonostante l’arcaicità del termine, sia la gassa d’amante, anche se un ottimo scrittore, con la giusta ironia, ne farebbe un termine modernissimo, degno dell'epoca virtuale. Il famoso nodo marinaio, insomma: un po’ perché il termine sopravvive (in mare vanno in tantissimi), un po’ perché piace anche a me andare per mare, e un po’ perché descrive con una precisione veramente icastica il concetto a cui si riferisce. Questo nodo, infatti, è come l’abbraccio di due innamorati: più viene contrastato più tiene, ma basta veramente un niente per scioglierlo. Ma l’ideale, per chi volesse gettare la chiave del lucchetto nel fiume e restare legato per sempre alla sua dolce metà, sarebbe il nodo di Salomone, che un po’ ricorda il nodo di Gordio. A chi lo guarda finisce per togliere pure il respiro. 

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