sabato 13 aprile 2013

le risate di Kafka e il nuovo Castello


                                                        Magritte . Il castello dei Pirenei

Quante volte non ci siamo sentiti dire, da un perfetto sconosciuto alla fermata dell’autobus o aspettando alla posta o in treno o in aereo (dopo che nel giro di un quarto d'ora ci ha raccontato anche i particolari più struggenti della sua esistenza): “Ehh, e questo è niente! la mia vita sarebbe un romanzo se solo sapessi scrivere”.

Salvo che la propria vita non è mai veramente interessante: non lo sarebbe neanche quella dei più grandi romanzieri se non la inserissero tra le righe di ciò che dicono e fanno i loro personaggi, che stranamente restano impressi fin dall’inizio. Ma che oggi tutti si siano trasformati “di fatto” in romanzieri, questo è un altro discorso, ed è un po’ nell’ordine delle cose: non certo una grande sciagura, come vorrebbero invece far credere i nuovi castellani della carta stampata e virtuale, a meno che non si rigettino quelle stesse premesse tecnologiche su cui è costruito l'attuale Castello. Si è cominciato con i blog e i post giornalieri nei vari blog e forum: quella vertigine che a molti non sembrava vera: veder schizzare il proprio nome dal niente del privato al niente pubblico: passare da una bocca (affamata di niente) all’altra (ma c'era già stato in passato il democraticissimo elenco del telefono). La stessa vertigine che, credo, provasse in origine (“en archè” “bereshit”), chiunque vedeva all'improvviso il suo nome inserito nelle bacheche del comune, nelle pubblicazioni di matrimonio. Anche lì ho l’impressione che, in un mondo ugualmente disilluso, ci fosse ancora spazio per qualche brivido: che qualcuno - è il motivo per cui si fanno ancora queste pubblicazioni di matrimonio – se ne uscisse magari per scherzo magari per davvero e mandasse tutto all'aria: questo matrimonio non s’ha da fare, quest’uomo è già sposato (le donne non hanno il senso dell'avventura, e se ce l'hanno è un senso posticcio, imitativo). Gli anglosassoni sono già più diretti e più drammatici, sollecitano i vari sicofanti quando la cerimonia è già in corso: se qualcuno si oppone a questo matrimonio lo faccia ora o taccia per sempre!

Questo per dire che se da un lato internet ha scoperchiato il vaso di Pandora, dall’altro ha reso questo "tutto della notorietà" meno temibile, più facile, più fruibile, anche se il Castello resta lì, imprendibile, lo sappiamo bene.

Si scrive a Fazi o a un altro grande editore, si invia un file pdf col proprio romanzao, che il più delle volte, a onor del vero, è un orrore illeggibile, e naturalmente il Castello non spedisce alla locanda nessun dipendente in borghese con la faccia da attore, gli occhi sottili e le sopracciglia folte, a assicurarsi che l’intruso effettivamente sia un intruso. Semplicemente non risponde, quindi il Castello si è fatto, giustamente, anche più irraggiungibile rispetto ai tempi di Kafka. E sarebbe stato interessante leggere, nel lungo pezzo sul “morbo dello scrittore” di Mariarosa Mancuso, pubblicato sul Foglio, quanto successe anni fa a Londra, lo scherzo che giocò uno di questi tanti ignorati dalle case editrici, il quale mandò una copia dattiloscritta di Pride and Prejudice facendola passare per opera sua. Lo modernizzò solo tanticchia. E l’editore rispose con una gentilissima per niente ironica lettera (in realtà venne poi licenziato): “la ringraziamo, ma l’opera non rientra nei nostri piani editoriali”. D’altronde la Mancuso, che appartiene al Castello (anche se si affaccia ai merli), e che quindi non è un caso che non ricordi questa storia, cita poi stranamente tra i grandi romanzieri proprio Jane Austin. E su questo, che Jane Austen fosse una grande, e che in quanto grande ebbe non poche difficoltà in un mondo di mediocri e di castellani, siamo tutti d’accordo. O quasi.


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