C’è un topogigio della politica italiana che in questi giorni ha
rinverdito un detto coerentemente attribuito a Don Abbondio: “Carneade, chi era costui?”. Faceva
bene Don Abbondio a chiederselo, di Carneade forse non sarebbe rimasto niente
oggi al grosso pubblico. Topo
Gigio è simpatico, questo topogigio della politica italiana, anzi della
cosiddetta sinistra italiana, non lo è. Di lui si vede soltanto, quando appare in
televisione,
una bocca perennemente dischiusa e una lingua disgustosamente sospesa. Se avesse un senso della decenza la nasconderebbe. Questo topogigio della sinistra italiana, la quale non esiste, non esiste nemmeno lui: è un niente costruito dai media, così come fu per Tony Blair (di cui è rimasto soltanto il falso ideologico ai tempi della guerra in Iraq e la sua incriminazione davanti alla commissione inquirente). E’ comprensibile quindi che questo topogigio italiano, ricorra a immagini da quattro soldi se vuol far parlare di sé un pubblico ammansito dai “megafoni” ex sesssantottini di una nota giornalista italiana al servizio del capitale. Insomma che avrebbe detto questo topinogigio e grigio? Ha semplicemente detto, riferendosi a un suo compagno di partito che l’aveva criticato: “XY chi?”
una bocca perennemente dischiusa e una lingua disgustosamente sospesa. Se avesse un senso della decenza la nasconderebbe. Questo topogigio della sinistra italiana, la quale non esiste, non esiste nemmeno lui: è un niente costruito dai media, così come fu per Tony Blair (di cui è rimasto soltanto il falso ideologico ai tempi della guerra in Iraq e la sua incriminazione davanti alla commissione inquirente). E’ comprensibile quindi che questo topogigio italiano, ricorra a immagini da quattro soldi se vuol far parlare di sé un pubblico ammansito dai “megafoni” ex sesssantottini di una nota giornalista italiana al servizio del capitale. Insomma che avrebbe detto questo topinogigio e grigio? Ha semplicemente detto, riferendosi a un suo compagno di partito che l’aveva criticato: “XY chi?”
Parlando di che cos'è il carisma, ci sono dei professori di liceo che
fisicamente non ti dicono niente: sessant’anni, piccoli, tracagnotti, calvi,
che però appena entrano in aula si fa il silenzio. Quel certo professore è
temuto. E non perché ti può mettere due: è temuto perché la sua sola
presenza denuncia tutto un vissuto, una dimensione esistenziale che ti fa
vergognare del tuo nulla. E un mio
professore di lettere al liceo era esattamente così. Se gli scassavi l’anima (era in genere qualche imbecille che chiacchierava agli ultimi banchi) finiva di
leggere mettiamo a Silvia (e con la
mano/la fredda morte ed una tomba ignuda/ mostravi di lontano) e poi diceva calmo,
col suo accento abruzzese, allo scassaminchia: “hai capite Riccià? Quella t’aspetta
a te!” Un grande non ha mai bisogno di imitare un altro se proprio deve essere cattivo: contando sulla sua cultura improvvisa un discreto sarcasmo, un’ironia, un tono di beffa con la facilità con cui si beve un bicchiere d'acqua. Questa frase del
mio professore entrò addirittura nell'uso, ce la passavamo un po’ tutti a scuola,
incontravi un compagno e può darsi che gli dicevi: "hai capito Francé? Quella t’aspetta a te!”, e dalla
nostra classe passò alle altre e poi alle altre sezioni. Ma non era l’unica di
questo grande professore di liceo.
Il topogigio della politica italiana non ha avuto nemmeno il
merito, a essere onesti, di citare Don Abbondio: ha detto studiatamente,
volgarmente, sprezzantemente, di questo compagno di partito tra l'altro molto conosciuto:
"il tal dei tali chi?" Che dà un’immagine di quello che sarebbe costui da presidente del Consiglio: bocca socchiusa, lingua che si muove
come fosse in calore e monosillabi di questo tipo inseriti ogni tanto all'interno del flusso di discorsi insignificanti che fa, di chi crede cioè di saper parlare e non sa
parlare perché non c'è assolutamente pensiero.
Sarebbe stato ovviamente troppo spingersi oltre Manzoni.
Siccome questa è gente che non ha mai riso di fronte a una scena di Aristofane
né ha mai pianto davanti a una scena di Euripide o di Sofocle, tutto quello che
sa dire, credendo di offendere, è: “XY chi?”. E questo fa notizia, soprattutto tra le ex sessantottine pronte a farne titoli sui loro giornali psuedo progressisti, e la dice lunga sul grado di istruzione
linguistica, sulla capacità di articolazione fonetica della maggioranza degli
italiani che seguono come delle ochette l'oca madre.
Direbbe un Filottete sofferente nell’omonima tragedia di
Sofocle, trovandosi davanti nella deserta isola di Lemno dove il perfido Ulisse
l’aveva abbandonato, direbbe dunque il povero Filottete a Neottolemo, il figlio di
Achille:
chi, o figlio, ti ha sbarcato? Quale necessità ti ha sospinto?
Quale disegno? Quale dei venti il più dolce?
Dimmi esattamente tutto, così che io sappia chi sei.
Quale disegno? Quale dei venti il più dolce?
Dimmi esattamente tutto, così che io sappia chi sei.
(Τίς σ', ὦ τέκνον, προσέσχε, τίς προσήγαγεν
χρεία; τίς ὁρμή; τίς ἀνέμων ὁ φίλτατος;
Γέγωνέ μοι πᾶν τοῦθ', ὅπως εἰδῶ τίς εἶ.)
Il "chi sei" finale in greco suona tisì, che ricorda il napoletano ma chi si. Così basterebbe sostituire al Filottete che qui parla il povero italiano dissanguato
da questa banda di narcisi che sono in politica e sostituire ancora a “figlio” “topogigio”e i giochi sarebbero
fatti: tutto avrebbe il sapore che dovrebbe avere.
Naturalmente Neottolemo, non ci sarebbe nemmeno bisogno di dirlo, è lì per ingannare il disperato
Filottete, che da tantissimi anni trascina la gamba piagata.
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