lunedì 19 gennaio 2015

il coming out, il pleonasmo e la papera

Se per coming out si intende il dichiarare pubblicamente di esser eomosessuale, allora è tempo perso: il coming out è un pleonasmo, un di più, un qualcosa di non strettamente necessario. Il coming out è figlio della presunzione: il credere che gli altri
non abbiano già capito tutto. Un padre regisce violentemente quando il figlio gli dice di essere gay non perché lo apprende in quel momento ma perché non è riuscito a impedire che glielo dicesse, che lo dichiarasse.

Invece, che un paese si doti di un'ottima legislazione contro l'omofobia è sempre un segno di saggezza politica  - non a caso l'Italia (a parte la Russia e poche altre teocrazie e alcuni Länder teocratici tedeschi) è l'unico paese tra quelli che si autodefiniscono "grandi" a non averne una. Così, prima le nuove generazioni si libereranno del peracottume cattolico-fascistoide che risiede stabilmente in parlamento, prima il paese avrà fatto un passo avanti nel lungo cammino della comprensione del concetto di role model, di cosa significa essere d'esempio agli altri, cosa significa mostrare sempre e in ogni momento concretezza politica - la Gran Bretagna ha già da tredici anni (in vigore da dieci) un Criminal Justice Act che prevede e impone aggravanti per crimini a sfondo omofobico.  Per questo è raro che quando apre bocca un primo ministro britannico o un presidente francese, in un contesto internazionale, non gli diano ascolto, mentre quando apre bocca un presidente del consiglio italiano al massimo gli fanno una pernacchia, o imitano il passo della paperella giuliva: culo in fuori, bocca aperta e lingua in attesa di dire qualcosa, come cammina e si mostra l'attuale presidente del consiglio.

Oca! era quello che si diceva ai tempi di mia nonna a una ragazza tutto trucco e niente cervello.

(Ci sarebbe da dire - a discolpa dei poveri italiani - che in un mare di nozionismo sono sempre stati un paese altamente ignorante, sia la classe politica (non si può chiamare nemmeno dirigente) e sudditi (difficilmente gli italiani possono ambire al titolo di cittadini). Si autodefinisce poi un paese cristiano ma la notte di Natale forse soltanto l'un per cento si accorge a mezzanotte delle campane che annunciano la nascita di Cristo. Così, se si chiedesse a un italiano qualsiasi che cos'è il Deuteronomio, potrebbe anche saperlo, ma solo perché l'ha sentito nominare in uno di quei programmi timballo tipo il Milionario. Eppure dal Deuteronomio, dove si parla soprattutto di leggi e norme, l'italiano avrebbe molto da imparare circa se stesso, potrebbe utilizzarlo come specchio non "delle mie brame" ma "del mio peracottume". Vi si esprime (nessun dubbio) esattamente ciò che è l'italiano, o il politico italiano, cioè il "portaspassolepalle", che attacca il riconoscimento dei matrimoni omosessuali celebrati all'estero perché la legge italiana non li prevede. In effetti quando mai l'italiano e il politico italiano hanno rispettato la legge, fosse anche quella di Dio? Vedi sempre, su questo concetto di role model nel consesso delle nazioni, Deuteronomio 4,6 e si vdrà la parte che l'Italia vi gioca quando è questione di leggi (religiose o meno) e non di pizza o spaghetti o oche e ochi televisivi:

osservatele e praticatele perché in questo è la vostra saggezza e la vostra intelligenza di fronte alle altre nazioni, che sentiranno di tutte queste leggi e diranno: sicuramente è un popolo saggio, questo, e una grande e intelligente nazione.

Questo quello che diranno Francia e Gran Bretagna dell'Italia, a me invece viene da farle semplicemente una gran pernacchia).





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