venerdì 2 gennaio 2015

Paolo VI dall'Occidente all'Oriente. Il fumo di Satana e la demonologia


Illustrazioni in un codice arabo di al-Qazwini

Diceva Paolo VI a conclusione del discorso tenuto a Nazaret il 5 gennaio 1964 - in effetti il primo pontefice a toccare quelle terre dopo san Pietro -, un breve discorso tutto dedicato ovviamente alla centralità del nucleo familiare (non a caso nella liturgia delle ore è una delle due letture per la festa della Santa Famiglia) diceva che "il lavoro non può essere fine a se stesso, ma che riceve la sua libertà ed eccellenza, non solamente da quello che si chiama valore economico, ma anche da ciò che lo volge al suo nobile fine".

Un finale che è quasi un capolavoro di diplomatismo: che dice tutto e niente - anche se non dovrebbe essere un mistero il senso che aveva per Paolo VI e cosa significa ancora oggi valore economico nelle democrazie liberiste.

Montini, a osservarlo in veste di pontefice, appare indubbiamente un sant'uomo:
un borghese italiano ma del miglior genere: riservato e apparentemente incapace di cattiverie o bassezze: una figura esile e mite, la voce impastata, il timbro basso e a tratti rotto e accorato, i lineamenti, a guardare sempre i filmati e le foto, fragili eppure sicuri, silenzioso e amante del silenzio. Dice nello stesso discorso di Nazaret:

In primo luogo essa (la casa di Nazaret, l'immaginata casa della Sacra Famiglia) ci insegna il silenzio. Oh! se rinascesse in noi la stima del silenzio, atmosfera ammirabile ed indispensabile dello spirito: mentre siamo storditi da tanti frastuoni, rumori e voci clamorose nella esagitata e tumultuosa vita del nostro tempo. Oh! silenzio di Nazareth, insegnaci ad essere fermi nei buoni pensieri, intenti alla vita interiore, pronti a ben sentire le segrete ispirazioni di Dio e le esortazioni dei veri maestri.

Ho ancora i miei dubbi che nell'antichità, in Oriente o in Medio Oriente, le piccole città fossero (relativamente ai rumori o all'inquinamento acustico) diverse da quelle odierne del nord Africa, che fossero luogo di assoluto silenzio: il fracasso dei carri merci, il continuo vociare nelle strade e nei mercati, e il tanfo dello sterco dei cavalli e degli asini e dei cammelli dovevano risultare poco attraenti se il desiderio, il bisogno, era quello di gettarsi anima e corpo nella preghiera e negli studi sacri e se si era sprovvisti di quelle necessarie capacità astrattive che possedeva nel massimo grado Cristo. Ma intanto Montini, per rimanere sull'immagine della via non di Damasco ma per Damasco, del deserto e dei suoi immensi silenzi, fu consacrato vescovo proprio dal barbuto cardinale Tisserant, dal lorenese Eugène Tisserant, notevole orientalista, bibliotecario vaticano e scriptor per i codici orientali: segno che tutto ritorna o si anticipa e niente è  mai veramente lasciato al caso nel destino dell'uomo.

Su di lui si erano comunque già abbattuti, quando ancora non era papa, gli stessi strali e anatemi, le stesse accuse di collaborazionismo con i nazisti che erano piovute da ogni parte su Pio XII, di cui Montini era stato collaboratore. E tuttavia superò Paolo VI indenne tutto: allora come poi in seguito: qualsiasi critica e attacco e pettegolezzo, qualsiasi gossip, anche quello di una relazione omosessuale da operetta sacra con un attore negli anni del pontificato. E superò gli anni postconciliari del gran casino dei valori e della fiduciosa promiscuità tra credenti e atei, e l'orgoglioso intellettualismo cattolico, e superò quindi anche, in questo stesso contesto, gli scaltri tentativi dell'Archangelo del male di eludere la sorveglianza delle incorruttibili guardie svizzere, la Porta di Sant'Anna:

Io debbo accusare la sensazione - dice nel 1972 - che da qualche fessura sia entrato il fumo di satana nel tempio di Dio. C’è il dubbio, l’incertezza, la problematica, l’inquietudine, l’insoddisfazione, il confronto, non ci si fida più della Chiesa. Ci si fida del primo profeta profano che viene a parlarci da qualche giornale o da qualche moto sociale per rincorrerlo e chiedere a lui se ha la formula vera della vita.

Fu qualche settimana dopo l'attacco alla Pietà. Anche qui resta un video di Paolo VI che scende immediatamente nella Basilica dall'appartamento papale, una mano nell'altra, il passo sicuro di regnante presente, il volto equilibratamente incredulo e addolorato, la testa leggermente piegata in avanti e a sinistra, come era sua abitudine. C'è da immaginarsi quanta straordinaria cultura occidentale e orientale dovesse vantare quest'uomo di eccezionale modestia, che dopotutto abolì l'Indice dei libri proibiti: quanta cultura e quale croce portasse questo alto ecclesiastico preso immediatamente di mira dagli ultratradizionalisti, ai quali rispose mandando prima di tutto in soffitta la tiara papale che gli aveva regalato la diocesi di Milano, coi suoi tre ricchi giri di diademi (ultimo papa a essersene servito), e poi sospendendo a divinis il fascista Lefebvre, forse come risposta a quei vescovi e preti socialisti che lo accusavano di immobilismo. E questuomo, strattonato da destra e da sinistra, lasciò invece a bocca aperta tutti: nemici e amici, depositando uno dei più toccanti testamenti che siano mai stati scritti, e che si apre con una pacata contemplazione della fine: 

Fisso lo sguardo verso il mistero della morte, e di ciò che la segue ... Dinanzi perciò alla morte, al totale e definitivo distacco dalla vita presente, sento il dovere di celebrare il dono, la fortuna, la bellezza, il destino di questa stessa fugace esistenza ...

Una fugace esistenza durante la quale però ebbe modo di occuparsi di tutto e quindi in un certo senso di niente: dalla proprietà privata, che attaccò nella Populorum Progressio, al controllo delle nascite e degli anticoncezionali, ai quali si opponeva richiamando però in un passo della Humanae Vitae la nozione di responsabilità paterna:

... la paternità responsabile si esercita, sia con la deliberazione ponderata e generosa di far crescere una famiglia numerosa, sia con la decisione, presa per gravi motivi e nel rispetto della legge morale, di evitare temporaneamente od anche a tempo indeterminato, una nuova nascita ...

Si aprì il cielo. Si scatenarono i farisei dentro e fuori del Vaticano. Fu devastato inoltre dal rapimento di Aldo Moro, suo amico. Fu accoltellato da un pittorucolo a Manila. Le acque del mare si placarono improvvisamente a Pescara quando arrivò in visita. A Venezia si tolse pubblicamente la stola e la posò sulle spalle di Albino Luciani, il Patriarca, indicandolo come successore. Promosse missioni in Africa. E all'Africa in qualche modo ritornava sempre: il luogo immaginato del silenzio, dei deserti, coi loro venti brucianti e insopportabili, dove le tentazioni del diavolo non sono mai effettivamente mancate a nessuno che li abbia per un po' bazzicati.

E' in effetti difficile dire dove Paolo VI prendesse l'immagine del fumo di Satana. Il fumo forse dell'inferno, che il principe dei demoni si porta inevitabilmente dietro; ma si adatterebbe meglio all'uomo di vasta erudizione un riadattamento quasi estemporaneo - e un capovolgimento e ancora un altro capovolgimento - delle analitiche e infinite ricchezze della demonologia levantina, e di sicuro anche egiziana.

La demonologia araba e musulmana è uno di quei rebus che avrebbero trovato un papa Montini non esattamente impreparato. In generale è più complessa di quella occidentale, e con molteplici tradizioni e varianti filologiche ignote perfino alla demonologia cristiana e giudaica, che al confronto paiono di un'ingenuità e semplicità sconcertanti. Così, l'arabo الشيطان (ash-shaytan)  o الشَّيْطَانُ (ash-shaytanu) secondo la pronuncia coranica, quando è preceduto come in questo caso dall'articolo starebbe per il Maligno in persona: Satana o Iblis, mentre negli altri casi può indicare un demonio inferiore. E l'origine della parola - improbabile che Paolo VI lo ignorasse - è praticamente incerta, tanto che ancora oggi alcuni moderni lessici arabi, sulla falsariga di quello di William Lane, la fanno derivare dal verbo shata: divenne vuoto, di nessun valore, ma inteso anche nel senso di se ne andò, morì, si bruciò. Altri ancora la associano al verbo shatana, divenne distante (nel vecchio e ancora insuperato arabo inglese di William Lane, bruciarsi è considerato giustamente - se la parola viene dal verbo shata - di senso proprio, gli altri significati avrebbero soltanto un senso figurato, tropologico). D'altra parte i jan, altra classe di creature del male, così come i jinn (geni), sarebbero stati creati da Dio da un fuoco senza fumo (lo stesso di cui si parla nella LV sura del Corano), o, come nella XV, dal fuoco del Simun, il vento secco del nord Africa e dei suoi deserti: un fuoco, quindi, comunque, sempre senza fumo. Esiste però ancora un'altra tradizione, in disaccordo con l'opinione comunemente accettata. La si rintraccia nella Cosmografia di Al-Qazwini, del XIII secolo, l'Erodoto del mondo arabo (la più recente edizione è quella del Cairo del 1980, in arabo, la versione invece in tedesco, del 1848, di Ferdinand Wüstenfeld, segue un manoscritto largamente interpolato). Secondo questa tradizione: gli angeli sarebbero stati creati dalla luce del fuoco, i jinn dalla fiamma e  gli shayatin - il plurale di shaytan (Satana), per tornare finalmente a Paolo VI - dal fumo del fuoco. 

C'è un proverbio arabo: اختر أهون الشرين (ikhtar 'uhauan ashaarrayna): scegli il più facile di due mali. Tra tutti i demoni che Paolo VI poteva andarsi a scegliere scelse il più difficile, il più ostico, quello con il quale la lotta è il più delle volte impari e all'ultimo sangue.

E questo è un po' tutto. Che poi papa Montini parlando del fumo nel Tempio di Dio pensasse semplicemente all'acre odore dell'Inferno o che fosse una reminiscenza di una delle sue tante impensate letture è una questione ormai non più accertabile. Non è accertabile e avrebbe poca importanza se non per gli sporadici ossessivi della verità filologica, quale il sottoscritto. Avrebbe potuto essere, credo, un qualunque fumo dai caratteri demoniaci: da quello degli imbonitori e retori di ogni regime che s'infilavano nel Palazzo Apostolico, al fumo di un modesto incendio appiccato da Lucifero nel cortile di San Damaso, o addirittura e molto più inquietantemente (perché lì c'è la Biblioteca) nel cortile del Belevedere, o può darsi, come vogliono in tanti e stando al contesto, che non fosse altro che il fumo delle molteplici discariche intellettualistiche lontane dal reale e venutesi a riparare sotto l'ombrello di Madre Chiesa. Ma forse nella continua commovente ricerca della sua verità, avrebbe potuto riferirsi benissimo (Paolo VI era anche uomo di improvvisa insospettata modernità e vicino al mondo del lavoro e dei lavoratori - in un altofornò arrivò a indossare l'elmetto di protezione degli operai) avrebbe potuto riferirsi a dei fumi più concreti: ai vapori delle fabbriche infernali: a quel fumo di Satana e dei suoi accoliti che arrivava fin dentro il Sacro Palazzo: un grido di angoscia per le tante morti delle acciaierie, degli altiforni, dei laminatoi, dell'industria chimica, farmaceutica:

qui infine - conclude il Papa nel discorso di Nazaret - vogliamo salutare gli operai di tutto il mondo e mostrar loro il grande modello, il loro divino fratello, il profeta di tutte le giuste cause che li riguardano, cioè Cristo nostro Signore.


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